Regia di Sebastiano Riso vedi scheda film
VENEZIA 74 - CONCORSO
Avere in pugno il proprio partner: una coppia apparentemente molto affiatata nasconde entro il proprio menage familiare un turpe commercio di neonati che l'uomo concepisce di volta in volta con la sua donna, per poi cederli clandestinamente a coppie sterili o impossibilitate al concepimento per altre ragioni.
Crisi di coscienza e scrupoli materni ormai insostenibili, inducono la bella donna a cercare di interrompere questo sciagurato commercio, allontanandosi dall'ego preponderante da uomo alfa del suo compagno, senza per questo smettete di provare un sentimento autentico verso questo carismatico ma ignobile amante-padrone, peraltro pure lui in fondo innamorato della redditizia fonte dei suoi introiti.
La circostanza che il soggetto scottante alla base del film sia "tratto da molti casi tragicamente avvenuti nella realtà" pare giustificare gli incauti sceneggiatori a lasciarsi andare e spingersi oltre ogni limite plausibile nella sostenibilità dei dialoghi che sorreggono la vicenda, spesso clamorosamente inascoltabili ed imbarazzanti.
Stessa sorte è riservata a quasi tutti i personaggi di contorno: figure spesso campate per aria e costruite ad arte senza un minimo di plausibilità o spessore: la ragazza del pusher che passa dalla padella alla brace, la coppia omosessuale, ultima destinataria del commercio di neonati. Quest'ultimi poi, strumentalizzati come mostri senza attenuanti ancora più delle coppie etero, si addossano l'arduo compito di prendersi le colpe più truci e pesanti, salvo poi essere assolti nel finale riparatore con un inutile quanto tardivo tentativo di accettare anche un bimbo "difettoso". Inoltre, per passare almeno un po' dalla teoria alla pratica, avranno riflettuto gli autori come possa reputarsi plausibile che una coppia gay formata da un celebre attore possa pensare di riuscire a comprare un neonato ed allevarlo in clandestinità? Magari chiudendolo in un cassetto fino alla maggiore età per riconoscerlo in occasione del 18° compleanno?
Una famiglia è un film autolesionista a partire dallo script, che se da un lato riesce ad evitare, glielo riconosciamo in tutta onestà, accomodamenti e melensaggini molto frequenti nel nostro cinema nazionale, non riesce mai a rendersi plausibile, credibile, sopportabile, sopra le righe come appare già dall'escalation dei primi minuti, fino all'epilogo infinito e sconcertante di una natività tra i cassonetti.
Poi certo, tecnicamente, Riso gira anche con impegno e destrezza e si distingue talvolta con riprese anche ardite, acrobatiche, pregevoli e riuscite.
Innegabile una certa alchimia tra i due attori protagonisti- col celebre cantante ed attore francese, Patrick Bruel - il cui volto ben si presta a rappresentare un personaggio tremendo che tuttavia sa ancora provare affetto ed umani sentimenti - scelto tuttavia quasi solo certamente per ragioni commerciali, assicurando al film almeno una doppia chance di sala in due paesi piuttosto popolati e prossimi. Fastidiosissimo ed improbabile il fatto che lei (una Ramazzotti ahimè sempre uguale al suo personaggio dolente e tiranneggiato dalla sorte - ma ne La Tenerezza, Amelio la governava e misurava con ben altri piu' apprezzabili risultati) lo chiami Vincenzo in luogo di Vincent.
Il film, inserito sadicamente tra i titoli del Concorso, è un ambizioso prodotto che mira in alto, ma è destinato al macello: un po' come successe lo scorso anno con Piuma, che tuttavia almeno aveva l'attenuante di volare basso e puntare, come da titolo-avvertimento - alla leggerezza del tocco, qui circostanza inesistente e mai presa nemmeno in considerazione.
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