Regia di Terry Gilliam vedi scheda film
1997: un virus spazza via la quasi totalità del genere umano. 2035: i pochi sopravvissuti, costretti a vivere sottoterra, spediscono indietro un detenuto tormentato da un sogno ricorrente (un bambino assiste a una sparatoria in un aeroporto) incaricandolo di cercare dati sul virus per poterlo curare, ma sbagliano anno... A un certo punto lo spettatore (che si crede) abbastanza smaliziato è convinto di aver capito tutto: ma certo, è il solito paradosso temporale, sono stati proprio gli uomini del futuro a originare il problema che poi dovranno risolvere. E invece, ecco il colpo di genio, Gilliam va oltre: ci manda su una falsa pista, a inseguire tracce labili e ambigue (la scritta “we did it” su un muro, un messaggio registrato su una casella telefonica), per poi dare la sterzata decisiva in un crescendo incalzante, dove la realtà diventa sempre più simile ai peggiori incubi senza che i nostri possano fare nulla per impedirlo: non c’è stato nessun complotto planetario, l’esercito delle dodici scimmie è una banda di innocui invasati capeggiati da Brad Pitt schizzatissimo, la chiave di volta è invece un omino un po’ fissato, che ha fatto tutto da solo sfruttando la posizione chiave che si trovava a occupare; ma forse, chissà, una agente delle assicurazioni riuscirà a disinnescarlo. Un film vertiginoso, stordente, bellissimo, che perfeziona gli incubi di Brazil e che per me è legato a un giorno indimenticabile: 17 maggio 1996, primo spettacolo pomeridiano, unico spettatore nella sala vuota, io e Madeleine finalmente soli (sì, va bene, c’era anche quel pelatone, ma nessuno gli badava).
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