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Doppio amore

Regia di François Ozon vedi scheda film

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La recensione su Doppio amore

di alan smithee
4 stelle

Una donna bellissima ed insicura finisce per diventare il prezioso oggetto del contendere di due antitetiche e controverse personalità di identiche fattezze fisiche. Ozon è consapevole quanto sia allettante, ma anche pericoloso l'argomento, e dirige un thriller erotico troppo estetizzante in cui manca ironia e vitalità. Una occasione buttata al vento.

CANNES ’70 - CONCORSO

Prima inquadratura: un tuffo ginecologico all'interno di una vagina, per ottenere poco dopo un responso medico puntuale ed approfondito.

Chloé è una bellissima venticinquenne impiegata presso una frequentata galleria d’arte parigina, che accusa malesseri fisici di probabile origine psicosomatica: la propria ginecologa pertanto - dopo la visita di cui la regia ci rende partecipi - le consiglia una terapia da uno psicologo, che la giovane sceglie nella persona dell’avvenente biondo e giovane Paul.

Lo stesso la ascolta, ma già dopo le prime sedute si tira indietro, come per sottrarsi al fascino irresistibile che, da professionista, egli si accorge sta subentrando pericolosamente nel rapporto tra medico e paziente. Sarà tuttavia la ragazza ad incoraggiarlo, e i due diverranno ben presto - la regia ci pone dinanzi alla rapidità delle circostanze -  amanti e conviventi nel moderno appartamento del medico.

Tutto bene sino alla mattina in cui Chloé intravede per caso dall’autobus quello che pensa essere il compagno, mentre parla con una donna giovane. Insospettita, anche dalla circostanza scoperta e mai deliberatamente rivelata dallo stesso, che l’uomo ha cambiato cognome, scegliendo quello materno, la ragazza scopre che Paul ha un gemello di fattezze identiche, Louis, pure lui psicologo, e che tra i due ormai non esiste più alcun legame sano o foriero di un rapporto almeno improntato alla civile lontana convivenza.

Iniziando a frequentare Louis, che si fa pagare profumatamente e non nasconde un certo comportamento sprezzante ed elusivo, la giovane finirà trascinata in un vortice insidioso ove alla promiscuità sessuale quasi inscindibile tra i due gemelli antagonisti, la ragazza si trasforma da miccia esplosiva in preda agognata da entrambi, divenendo sempre più complicato riuscire a discernere il fratello dominante e persecutore, da quello più scrupoloso ed infine vittima di un tranello mentale complicato ed onirico - oltre che erotico - entro un vortice di desiderio che assume connotati sempre più sfaccettati e maliziosi. 

Tra i due contendenti, una sorta di guerra cromosomica ove quello dominante finisce per inghiottire geneticamente anche l'altro, in una sorta di complicato cannibalismo caratteriale e mentale che si traduce in qualche modo in effetti concreti e fisici.

Il tema del doppio ha sempre affascinato grandi cineasti: si pensi ad Hitchcock, a Cronemberg e a De Palma rispettivamente con Vertigo, Inseparabili e Raising Cain. All’interno della ecclettica e concitata produzione cinematografica di Francois Ozon ci stava pure bene un thriller citazionista che strizzasse l’occhio al cinema thriller dei grandi maestri.

Tuttavia qui il regista francese costruisce un primo tempo volonteroso e preparatorio, che tuttavia in qualche modo si svilisce lungo uno sviluppo incerto ed enigmatico in cui manca del tutto quell’ironia fondamentale che ha reso grande, anzi magistrale ad esempio, il cinema di suspence di De Palma, inducendo il pubblico ad affrontare anche i casi più inverosimili con un occhio di accondiscendenza e di malizia fondamentali per accettarne gli snodi risolutori.

Cosa che invece manca qui in modo esemplare, con la problematica della gestione di due personalità mal distribuite su due soggetti identici ma rivali, che è costretta a svilirsi, tergiversando, tramite meccaniche situazioni pruriginose in realtà al limite dell’imbarazzo, e che ben possiamo comprendere come possano aver generato fischi e disapprovazioni alla prima ufficiale presso il Palais du cinema sulla Croisette a Cannes. Merito questo, soprattutto di selezionatori masochisti, per un film che, inserito nel Concorso, è come aver condannato alla gogna.

Non basta poi, come sembra essere persuaso Ozon, la presenza di una coppia di attori affascinanti e bellissimi come la Vacth e Régnier, esposti nudi con maliziosa calcolata ricorrenza alla pari di due opere ostentate nel museo in cui lavora distrattamente la protagonista (sta seduta come una vera e propria opera d'arte - molto meglio lei di molto di quanto viene ostentatamente esposto - e poi cazzeggia ogni momento telefonando e facendosi i propri fattacci); né  tantomeno renderli protagonisti di scene di sesso a tre (lui, lei e il doppio di lui, assieme al rutilante sdoppiamento di lei come una sorta di Idra a due teste), o di sadiche inversioni di ruoli, o ancora di scene omosex tra due gemelli identici fisicamente quanto diversi e sfaccettati nel loro intimo, per rendere il film, neppure mal diretto, anzi tecnicamente molto stilizzato e chic, un thriller appassionante (alla Omicidio a luci rosse ad esempio) o almeno morbosamente disturbante (come il capolavoro di Inseparabili).

Ma anche senza pretendere di raggiungere tali livelli, pressochè impossibili, qui al massimo ci si raffronta, un po’ per la somiglianza di Marine Vacth con la comunque inarrivabile Renée Simonsen, un po’ perché pure là si parlava di gemelli, a qualcosa di simile al vanziniano anni '80 un po’ kitch "Sotto il vestito niente", che in ogni caso risulta meno borioso e più simpatico di questo compiaciuto esercizio di stile, alla fine estenuante e manierato, completamente privo di una boccata di ironia preziosa e vitale come lo è l’aria in un locale divenuto irrespirabile.

Peccato soprattutto per Ozon che, in tutti questi anni concitato di lavoro, non mi ha mai realmente deluso ed anzi ha toccato proprio si recente con Frantz, le vette più felici della sua eterogenea e valida filmografia.

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