Regia di François Ozon vedi scheda film
CANNES 70 - CONCORSO UFFICIALE
Ancora Francoise Ozon. Ancora il cinema francese.
Il regista del pluricitato "Potiche", in verita', porta a casa un discreto colpo, nonostante il dissenso (pur se contenuto) alla fine della proiezione.
I temi sono, in realta' quelli di sempre, cari al cineasta parigino: l'incontro tra due anime che cercano disperatamente la propria identita'. SE, pero', molto spesso, qualcosa ha scricchiolato nella sceneggiatura dei film precedenti - con l'eccezione di "Frantz" -, stavolta pare invece funzionare: Chloe, una ragazza in depressione, interpretata dalla meravigliosa Marine Vatch, e' in cura dall'affascinante Paul (Jeremy Renier). Ovvio che tra i due si instauri un rapportoi che vada al di la' della normale terapia. Nonostante l'aspetto terapeuta - paziente sia risibile (e l'approccio non e' dei migliori, con battute caustiche sulla figura dello psicoanalista), il film scivola pian piano nel thriller, finendo per coinvolgere lo spettatore in una serie di eventi terribilmente convincenti. Ma e' tutto vero ?
L'aspetto erotico del film, invero, pur se sottolineato dai corpi bellissimi dei due protagonisti, abbondantemente nudi sulla scena, non e' cosi' evidente come potrebbe sembrare: in questo, non aiuta una fotografia eccessivamente patinata e l'impianto teatrale soffoca la storia piu' di quanto necessario. Ma l'amalgama attori-ambienti-successione di eventi funziona, e l'esplorazione dell'anima pare un raffinato indugio cui tutti potranno riconoscersi.
Nella seconda parte, quando i due amanti vanno a vivere insieme, Chloe, purtroppo per lei, ha la sfortuna d'imbattersi in una persona diversa da quella che pare aver conosciuto. Qui, invero, il film perde il suo fascino, indirizzandosi (malgrado un finale che rovescia quanto narrato) verso trame piu' ordinarie - ed a tratti par di ritrovare il Francois Ozon di "8 donne e un mistero" - ma alcuni passaggi insoliti rendono valido il prezzo del biglietto per un film che sarebbe peccato raccontare per intero.
Ancora una volta, dunque, Ozon parla di menzogna, dissimulazione, incapacita' relazionale ma usa un nuovo, piu' seduttivo strumento: il giallo non piu' commedia (per cui certi momenti richiamano il puntuale "Giovane e bella"), che almeno in un momento di crisi cinematografica mondiale, pare attecchire meglio sulla memoria di un pubblico sempre meno cinefilo e piu' attento al marketing che alle storie. Restano i dubbi sul finale, ma il cinquantenne autore francese sembra comunque al passo coi tempi, anch'egli pronto ad attraversare la scia piu' presente qui, sulla croisette: il sogno.
Ed e' nei momenti piu' delicati della vicenda che la componente onirica sembra fornire impeto e forza alla visione.
In definitiva, un film poco in linea con le ambizioni di una vincita festivaliera ma buono per le platee di tutto il mondo.
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