Regia di Joe Wright vedi scheda film
Alcune volte gli avvenimenti più insignificanti sono capaci di dare una spinta decisiva ai leader della storia, in modo da compiere azioni ed imprese magnifiche e decisive ai fini degli avvenimenti più importanti della storia; quello che L'Ora più Buia di Joe Wiright (2017) insegna a tutti noi è che se Chirchill in un giorno di Giugno del 1940 non avesse incontrato in un vagone della metropolitana di Londra alcune persone del popolo tra cui un nero, una bambina delle elementari, qualche donna e una massa indistinta di maschi bianchi poco considerati dalla macchina da presa del regista e quindi buttati lì nel mucchio, la Germania nazista e l'Italia fascista avrebbero vinto la seconda guerra mondiale sconfiggendo il Regno Unito, poichè il capo del governo del paese non avrebbe trovato la determinazione necessaria per sconfiggere i nemici del paese.
Che il biopic sia un genere in grossa crisi e prettamente accademico è roba risaputa, in epoca di me too il genere s'è fatto ancor più pomposo e insignificante con sequenze come quelle sopra, dove si forzano i personaggi e il periodo storico, per inserire temi liberal che cozzano pesantemente con la materia trattata; Churchill non avrebbe mai fatto una cosa del genere, nè avrebbe parlato con una persona di colore, poichè era un razzista verso tutte le persone non bianche, quindi una sequenza come quella nella metropolitana non solo è degna del peggior Spileberg e colma di fastidiosa retorica, ma finisce con il piegare il personaggio alle mode del sentire odierno in modo artificioso e forzato, visto che era tutt'altra persona nella realtà.
Ritrarre il lato negativo di una persona in un biopic, non è un qualcosa di negativo, poichè ciò lo rende solo più umano agli occhi dello spettatore; naturalmente tutto cambia se l'intento è quello di fare un'agiografia e allora dal ritratto storico passiamo alla propaganda, perchè alla fine L'Ora più Buia non è altro che uno sporco e subdolo film di propaganda in confezione extralusso.
La fotografia solfurea di Delbonnel negli interni (bocciata negli esterni dove scade nel già visto e nel banale), conferisce un'aria di rigoroso e maestoso retrò alle aule della politica e al bunker in cui Churchill deve prendere le sue decisioni politico-militari da cui dipende la sopravvivenza del Regno Unito come stato sovrano in un momento in cui l'invasione della Francia da parte della Germania è alle battute finali, lasciando il paese come unica potenza continentale a battersi contro l'armata nazista.
Joe Wright tramiti i numerosi primi piani fa di tutto per valorizzare la prova recitativa di Gary Oldman nei panni dello statista inglese, catturandone appieno ogni espressione e borbottio, la prova è buona, solo che non è niente di eccezionale; più vicina ad un ammuffito teatro inglese con tanto di trucco prostetico pesante, che a vero e proprio cinema.
Le uniche sequenza registiche degne di nota sono l'inquadratura di Churchill nel bagno del bunker dopo la telefonata con il presidente americano atta a sottolineare la sua solitudine e quelle che dall'alto inquadrano una massa indistinta di soldati/persone ripresi come una sorta di formiche il cui destino dipende dalle decisioni del loro capo a cui si affidano ciecamente.
Il Churchill che ne esce è quello di una figura bonariamente imperfetta, che trova la sua giustificazione alla luce di quello che è accaduto dopo negli avvenimenti storici ma non alla luce del film. La pellicola ha una chiara impronta reazionario-conservatrice, tesa a celebrare l'impero che fu, quasi a rinsaldare gli animi inglesi per unirli contro le avversità odierne (la Brexit); i politici che vorrebbero una pace con la Germania (comprensibile vista la situazione disperata in quel momento) sono ritratti in modo viscido e patetico dal regista, esseri che pensano più a questioni private lasciandosi sopraffare dalla codardia, piuttosto che all'effettivo bene della nazione (portare la Gran Bretagna nella guerra sarebbe un qualcosa di positivo? Il popolo chic del vagone della metropolitana con ottuso spirito nazionalista appoggia immediatamente la scelta del capo senza temere (nè pensare) alle difficoltà a cui andranno incontro e ai sacrifici che dovranno fare in vista del secondo conflitto mondiale.
Una pellicola dove l'immagine viene soffocata da un fiume di parole e di vuota retorica che sembra però aver fatto effetto sul pubblico inglese accorso in massa a vedere questo polpettone revanscista, così come la critica che s'è speticata di lodi nel celebrarlo (valutandolo addirittura in alcuni casi come superiore a Dunkirk di Christopher Nolan), facendolo ottenere ben 6 nomination agli oscar tra cui miglior film e vincendo per miglior attore e trucco.
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