Regia di Joe Wright vedi scheda film
Dopo avere visto L'ora più buia, ero leggermente a disagio perché non sapevo bene come articolare il mio disappunto di fronte al film di Joe Wright. Avendo di recente letto la recensione di Federico Pedroni su Cineforum n° 572, sono confortato nella mia impressione negativa.
L'impressione negativa è dovuta soprattutto ad un eccesso di retorica - la tenacia del leader politico come substrato per la vittoria bellica - e allo stesso tempo un surplus di confidenzialità, sugli aspetti caratteriali, intimi e familiari del grande personaggio, lato del film, quest'ultimo, introdotto dalla figura della giovane dattilografa. Questo genere di operazione era riuscito nel film tedesco La caduta. Gli ultimi giorni di Hitler (2004), laddove proprio da una dattilografa prendeva spunto tutto il filo del racconto. Il problema, forse, è che sembra più semplice evitare la retorica nella descrizione di una disfatta che nell'illustrare le ragioni di una vittoria. E qui entra in gioco, secondo me, anche il ruolo dell'attore protagonista. Bruno Ganz è impagabile nel dare corpo e anima a Hitler, personaggio che può indurre chi lo interpreta a gigioneggiare e ad indulgere a scene madri che nel contesto di un film non possono che risultare controproducenti. A me sembra che Gary Oldman, pur lodato e forse premiato, non renda un buon servizio a un film già compromesso dalla retorica cui facevo cenno prima. Anzi, forse consapevole di questo rischio, l'attore si annulla in un personaggio ingombrante di per sé e nella storia inglese, tanto da non riuscire a creare un personaggio che, pur intento a rifuggire l'aneddotica, esca come autonomo dal pur lodevole sforzo mimetico.
Ma naturalmente il problema fondamentale non è questo. Resta l'ambiguità di fondo che non consente al film di divincolarsi tra l'esigenza di descrivere un gigante della Storia e di renderlo al tempo stesso una figura umana e popolare: in questo senso, mi ha infastidito la sequenza - non saprei dire quanto riferita ad un episodio reale - ambientata nella metropolitana di Londra, con il dialogo tra il primo ministro e le persone comuni che lo spingono a combattere ad oltranza il nemico. Per queste ragioni non ho apprezzato il film, comunque assai professionale, di Wright, che sembra costituire anche un controcanto rispetto all'altra opera importante che, nello stesso 2017, si è occupata del medesimo momento cruciale della Seconda Guerra Mondiale, cioè Dunkirk di Christopher Nolan.
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