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Omicidio all'italiana

Regia di Maccio Capatonda vedi scheda film

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La recensione su Omicidio all'italiana

di M Valdemar
7 stelle

 

locandina

Omicidio all'italiana (2017): locandina

 


Campobasso State of mind.

Esiste un'altra via per la commedia (all')italiana?
Maccio Capatonda, a suo modo, con inconfondibili stile e tratto, sorpassa (su una corsia in divenire) la strada maestra provinciale della stantia, zombesca, sempre uguale a sé stessa, produzione nazionale (altro che rinascita! Ma di che cianciate, San Ceppato?!!) e, dopo l'opera d'esordio, racconta un altro frammento della medietà italiana.
Ovvero, i torbidi casi di cronaca nera.
Il delitto tira, la sua spettacolarizzazione è un'arma di distrazione di massa per il popolo-capra.
Quando il caso diventa mediatico, si liberano freni inibitori e (residui) pudori, pubblici e privati: così, attraverso la sua creativa comicità stralunata, bislacca, che non lesina in goliardiche storpiature lessicali e inventiva onomastica e toponomastica, il buon Marcello Macchia si fa allegramente beffe di tutto un sistema, di un modo di pensare ed essere che connota interi pezzi della società (cosiddetta “civile”).
L'idea che un sindaco di un borgo sperduto, diroccato, praticamente inanimato e inabitato, con il miraggio della "metropolo" Campobasso – la finzione dice Acitrullo, la prossima “storia vera” dirà quale altro posto misconosciuto – possa inventarsi un crimine efferato per attirare l'enorme, ignorante ondata (sismica … il suono che producono le masse di turisti e giornalisti: altra bella intuizione) per fini economici e di sopravvivenza, non è poi così balzana.
Difatti, l'arte della rappresentazione dell'autore dei tanti “finti”, geniali trailer passati in origine a Mai dire (ma non solo) ha sempre un'efficace corrispondenza, burlesco e grottesco, farsesca, con la sordida, triste, misera realtà.
Nel folle tritacarne macciocapatondiano – alimentato a bocconi talora magari grossolani, ma sapidi, carnosi, gustosi – finiscono per essere inghiottiti senza tante cerimonie né ansie da prestazione protagonisti e comprimari di note sporche faccende (puntuali come le tasse, come la morte, come la maschera idiota dello spettacolare Herbert Ballerina: lui e la sua tromba-capra, fantastico).
La televisione, innanzitutto; che – dice con arguzia il regista-attore-sceneggiatore abruzzese – è una realtà “altra”, a cui la “verità”, banalmente, non interessa (poiché la ricostruisce, la reinventa, la manipola, imponendo la propria): tv del dolore, e dintorni, un mondo viscido che si (auto)nutre a forza di drammatizzazioni e speculazioni vergognose. I riferimenti sono troppo palesi per non coglierli …
Naturalmente, se dall'etere lanciano il segnale, qualcuno lo riceve e lo amplifica (il maledetto “share”): ed ecco pertanto che, unitamente all'intera classe di giornalisti “specializzati”, l'orda barbarica è composta anche dalla “gggente”, quella passiva davanti all'elettrodomestico, e quella attiva, ovverosia i turisti del macabro.
Completano il quadretto l'inettitudine degli organi inquirenti e l'opportunismo della classe politica – tanto quella dei vecchi marpioni quanto quella dei “nuovi” arrivisti –, mentre, sullo sfondo, un Paese vecchio e stanco, lentamente, si spegne.
Il piglio e il registro, come di consueto, restano sul comico andante con brio e con briosa, consapevole cialtroneria; pure nella composizione della trama “gialla”, invero, sebbene sostanzialmente estemporanea, dotata di un certo spessore e gusto (anche nell'uso delle valide musiche dalla chiara eco hitchcock-herrmanniana): lo sguardo che si posa beffardo altresì su talune ridicole dinamiche del genere (il colpevole che architetta un piano assurdo per eliminare chi potrebbe smascherarlo anziché farlo subito fuori) regala la scena più esilarante di tutto il film.
Oh, certo, condita dalla “miracolosa” apparizione del mitologico Rupert Sciamenna nei panni del più e più volte invocato San Ceppato.
Giusto qualche ingenuità di regia e di scrittura, una tenuta non sempre coesa, abbassano la qualità dell'opera; ma bastano le performance di Maccio (che si moltiplica in tre personaggi differenti) e complici – oltre ai soliti noti del suo “cerchio magico”, da segnalare la bellissima Roberta Mattei, naturale e incisiva, e persino Sabrina Ferilli riesce a trovare una sua dimensione (mentre Fabrizio Biggio rimane presenza irritante e inguardabile): Omicidio all'italiana, ben lungi dall'essere lavoro seminale, è uno spasso, uno sguardo diverso (di cui c'è senz'altro bisogno), un'opportunità da cogliere e lasciar crescere, una ventata d'aria fresca.
Ok, chi ha lasciato la porta del bagno aperta?

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