Regia di Pupi Avati vedi scheda film
Pupi Avati ritorna sui suoi (primi) passi da regista, quando realizzò quello che resterà, probabilmente, il suo capolavoro ineguagliato, cioè "La casa dalle finestre che ridono". "L'arcano incantatore" è ambientato nel 1750, quando il seminarista Giacomo Vigetti, nella Bologna che era la seconda città dello Stato della Chiesa, mette incinta e fa abortire una ragazza e, per evitare la condanna da parte dell'Inquisizione, si rifugia sull'Appennino, presso un monsignore in odore di scomunica, del quale diventerà scritturale, cioè scrivano e bibliotecario. Non mi sembra che il film abbia molto senso, ma riesce a spaventare e ad intrattenere lo spettatore meglio di molti prodotti d'importazione. Avati non si risparmia niente: rumori di catene, fiammelle tremolanti, apparizioni demoniache, evocazioni di spiriti maligni, cadaveri putrefatti e via dicendo. Ci sono anche due sorelle scomparse che riappaiono sotto varie forme come i fratelli di Zoto nel "Manoscritto trovato a Saragozza" di Potocki. Direi quindi che "L'arcano incantatore" è un film riuscito, con le atmosfere giuste e anche gli attori giusti, compreso Stefano Dionisi, che non sarà molto espressivo ma ha una faccia che si adatta all'epoca in cui è ambientata la vicenda. Carlo Cecchi ha la caratteristica di parlare con un tono di voce pressoché incomprensibile, il che rende tutta la faccenda ancora più misteriosa. Ci sono numerosissime citazione dai classici dell'horror, compresa, a un certo punto, una da "Shining", tanto che ci si aspetta che da un momento all'altro Carlo Cecchi gridi "Heeere's Neriooo!". Stupenda l'ambientazione appenninica.
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