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Il carretto fantasma

Regia di Victor Sjöström vedi scheda film

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La recensione su Il carretto fantasma

di OGM
10 stelle

La sostanza di questa favola notturna è la vita vista come una lunga agonia, in cui si trascinano, con delicata amarezza,  la trepidazione per il futuro, l’attesa di un ritorno, la speranza di una salvezza. I ritratti dipinti da  Victor Sjöström hanno le movenze lente e morbide del mare, in cui il dolore e la gioia, il bene e il male si alternano come l’onda e la risacca, perché, nell’oceano dell’esistenza, gli opposti si mescolano intraprendendo danze turbinose, in cui, seguendo la corrente, tutto va via, ma poi ritorna indietro. La ciclicità del tempo, scandito dal volgere degli anni, con la notte di San Silvestro che si ripete uguale, ad intervalli di dodici mesi, è una staffetta senza fine, è un continuo passarsi la mano fra chi termina e chi inizia, fra i tragici approdi di esistenze sbagliate, crudeli, perdute, e le ascese al Cielo di chi, sulla Terra, ha seguito il richiamo della santità. In questo girotondo gli esseri umani non smettono mai di toccarsi, anche quando percorrono cammini divergenti e distanti, anche quando hanno, dentro di sé, uno la pace, l’altro la guerra, uno la luce, l’altro il buio, uno il paradiso, l’altro l’inferno. A nessuno è risparmiato il contatto con la propria antitesi, quell’incontro inopinato che sconvolge, nell’intimo, come una scossa elettrica, facendo della suora di carità una donna innamorata, del padre affettuoso  un uomo laido e violento, della madre premurosa una disperata infanticida. Il mutamento è repentino, misterioso ed ineludibile, come la metamorfosi per eccellenza, la Morte, che in un attimo trasforma la materia vivente, un’entità fatta di carne, parole e pensieri, in un cascame inerte, abbandonato dall’eterea essenza dello spirito.  Noi, in fondo, siamo entrambe le cose, uniti e divisi: sia una fusione di anima e corpo, in cui desideri e sentimenti parlano con una voce sola, sia un’entità scissa tra fisicità e spiritualità, che oscilla tra istinto e ragione, tra dannazione e grazia, che pecca e poi si redime. La compresenza, sullo schermo, di persone e fantasmi, di vivi e morti, realizzata con raffinate sovrapposizioni di pellicole, ci ricorda questa nostra natura di animali che partecipano in maniera indefinibile al divino. Terreno e ultraterreno si fondono nell’imperscrutabile sfera della trascendenza, che occupa un angolo nascosto, però luminosissimo, della nostra storia: come l’immagine cinematografica di uno spettro, è una trasparenza sullo sfondo, che è soffusa ed indistinta come un’ombra, ma, nel contempo, chiara e palpitante come un riverbero di sole. 

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