Regia di Luciano De Crescenzo vedi scheda film
Nel film emerge il disincanto di chi ama l'idea platonica di Napoli e la narra come vera anche in piena trasformazione. Pellicola da inserire nella grande tradizione della commedia teatrale napoletana, dove buoni sentimenti e fantasia smussano gli spigoli della città difficile che si fa luogo di umanità e amicizia contro le solitudini moderne.
A rivederlo, dopo tanti anni, con tanti interpreti scomparsi o invecchiati, il film appare un po' datato rispetto ai suoi esordi. Quella Napoli, ammesso che sia mai esistita, fuori dall'oleografia, si è definitivamente trasformata ed è oggi meno colorata, più chiusa. Le periferie e il centro antico si sono contaminati a vicenda, creando una nuova generazione di cittadini. Lo spazio per ridere è cambiato, come sono cambiati i modi, i termini, i tic. Per cui, la sensazione è quella di un tempo che fu, uno sguardo ingenuo, per certi versi al limite della barzelletta sceneggiata, e con affermazioni che De Crescenzo fa dire al suo Professore sulle tangenti ai clan che oggi farebbero gridare al politicamente scorretto. L'arena narrativa è un celebre palazzo storico. L'arrivo di Cazzaniga dall'amata e odiata Milano porta una novità in un ambiente in fondo bloccato, dove ognuno ha il suo ruolo, il suo piccolo potere, la sua immagine: il filosofo, il poeta, l'ammalato, la cameriera. Sono tableaux vivants, che però in un guizzo di mestiere dei molti interpreti eduardiani, o in un'invenzione di sceneggiatura, raccontano oltre le intenzioni del regista. Nel 1984 si sentono, e con forza, le difficoltà di un dopoterremoto che sembra non finire mai e la speranza all'orizzonte di un'epoca nuova, quella maradoniana, partita proprio ai primi di luglio di quell'anno. Neppure allora Napoli era come la vedeva De Crescenzo, che però da ingegnere filosofo e grande fotografo sapeva mettere a fuoco alcune particolarità e indagarle. Nel film ci sono personaggi, figure e abitudini che segnano un passaggio tra una Napoli in fondo romantica, che stava scomparendo già allora, quella dei guappi, dell'arte di arrangiarsi, delle bancarelle, del lotto, e una più rampante, vorace, facile all'euforia e insieme alla disperazione. Oggi la pellicola è un piccolo tascabile sulla napoletanità, su alcune peculiarità di popolo che costruiscono il linguaggio, l'irregolarità e l'eterno conflitto tra meraviglia e disastro che la città e il suo popolo procurano a chi scegli di incontrarli. Il film è dolce, godibile, nostalgico e anche divertente. Oggi va considerato come un documento, che con buona approssimazione, ricostruisce alcuni passaggi di una storia forse smarrita per sempre, che consegna alla storia una città dove ci si poteva guardare negli occhi, e come Greci nell'agorà, discutere per ore sulle distanze ideologiche tra uomini di cuore e uomini di libertà.
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