Regia di Marleen Gorris vedi scheda film
Mezzo secolo di storia belga passa tra le stanze del casolare di Antonia (Willike Van Ammelrooy), popolato da una fauna umana reietta che contrappone il proprio matriarcato alla tracotanza maschile del mondo esterno. La Storia rimane sempre fuori dall'uscio, mentre all'interno di susseguono le generazioni dell'albero genealogico di Antonia, con una figlia lesbica e piena di immaginazione (Els Dottermans) che ambisce alla maternità, una nipote geniale (Veerle Van Overloop) che a sei anni legge Schopenhauer con l'amico misantropo Dito Storto (Mil Seghers), e una pronipote (Thyrza Ravestejin) che racconta la storia della casa avita con la voce fuori campo che percorre l'intero film. Il tessuto narrativo si sfrangia per seguire i frammenti biografici dei tanti che hanno trovato rifugio da Antonia, una donna volitiva, dolce e simpatica. Ci sono lo scemo del villaggio (Jan Steen), il prete spretato, una ragazza stuprata dal fratello, un vedovo bisognoso di compagnia e altri ancora, ciascuno consegnato al proprio destino, ora dolce, ora amaro. Primo film belga premiato con un Oscar come migliore opera straniera, L'albero di Antonia è un lavoro sessista dai toni anticlericali, iconoclasti e beffardi nel quale è possibile leggere in filigrana il percorso umano di questa proto-femminista attorniata da maschi che, salvo rare eccezioni, sono tutti deboli e imbelli. Ma la simpatia delle donne e la plausibilità di un certo tipo di machismo fanno di questo film spiritoso e impertinente un'opera gradevole, anche a dispetto delle scene truculente (lo stupro di una bambina, l'incesto, un'impiccagione, un linciaggio) che sono disseminate lungo la trama.
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