Regia di Oliver Stone vedi scheda film
Fluviale biografia dell'unico presidente americano ad essersi dimesso. Ma, lungi dal presentarsi come un fiume in piena, il film di Stone sembra un torrente carsico, che spunta da una parte per inabissarsi in un'altra e riaffiorare vicino alla prima. In questo senso, vanno i continui flashback, che ci mostrano Nixon in una delle tante sconfitte della sua carriera politica, per poi farcelo vedere durante l'infanzia con i genitori quaccheri, per tornare sulla sconfitta successiva, per poi tornare indietro al passato di mediocre ma tenace giocatore di football americano. In più di tre ore, Stone non pretende di analizzare tutta la controversa vita del 37° presidente, ma suggerisce, attraverso episodi significativi, alcune linee tematiche per interpretare questo personaggio sfuggente ad ogni facile definizione, ma che potrebbe essere ricordato come un fascista complessato. Convinto, come Nixon, che ciò che siamo da adulti dipenda da quello che ci ha segnato durante l'infanzia, Stone ci mostra il bambino, nella sua famiglia, benestante e bottegaia nella California rurale d'inizio Novecento, martoriato da un padre ligio al dovere (tanto da andare a tavola con il grembiule da lavoro insanguinato, per mostrare ai figli la provenienza del loro cibo) e da una madre bacchettona, che instilla nel piccolo Richard l'ossessione per la menzogna. Durante l'infanzia, Nixon perde per tubercolosi due dei suoi tre fratelli, poi studia legge al College di Whittier (Contea di Los Angeles), fa carriera politica all'ombra del famigerato senatore McCarthy (boss della Commissione per le Attività Antiamericane), diventa vicepresidente con Eisenhower, perde le presidenziali contro Kennedy nel 1960, perde la corsa a governatore della California nel 1962, medita il ritiro dalla politica e torna in grande stile vincendo le presidenziali del 1968 e poi ottenendo la riconferma nel 1972, fino all'ingloriosa ritirata seguita allo Scandalo Watergate (dimissioni del 9 agosto 1974). I punti su cui Stone ci chiede di focalizzare l'attenzione, seguendo la parabola biografica e politica di Nixon, sono l'educazione rigidamente quacchera, l'ossessione quasi sacra per la menzogna, il bisogno di piacere alla gente (alla moglie come agli elettori), la consapevolezza di non possedere fascino, l'ossessivo complesso d'inferiorità nei confronti di John F. Kennedy e di tutta la sua famiglia, il terrore di essere criticato qualsiasi cosa facesse. E il regista riconosce al Presidente i suoi (rari) meriti, come l'aver posto termine (con colpevole ritardo, comunque) all'annosa e sanguinosa Guerra del Vietnam, nonché il riavvicinamento alla Cina di Mao e all'URSS di Breznev. E alla fine, dopo la vergogna del Watergate (e di tutto quanto vi girò attorno), Stone rende al presidente ormai defunto l'onore delle armi, senza rinunciare a criticare quello che resta uno dei peggiori capi di stato della storia americana.
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