Regia di Paolo Virzì vedi scheda film
Opus numero secondo del più acuto osservatore della realtà nostrana che piglia il Belpaese per quel che è, ossia un gaudente delirio, una pazza nazione allegramente votata al suicidio. Siamo nel 1995 e da un anno Silvio Berlusconi è sceso in politica, seminando, in qualche bislacca mente, qualche speranza di rinnovamento. La storia ci illustra come il suo governo sia durato poco meno di un anno, dando dunque il via alla stagione del nuovo centrosinistra, al prodiano Ulivo. Il momento in cui gli individui più svariati si incontrano è certamente l’estate, in questo caso durante una manciata di giorni nel corso di un Ferragosto in quel di Ventotene.
Qui si ritrovano confinanti due famiglie che più diverse non si può: da una parte c’è un clan - capitanato dal carismatico giornalista de l’Unità Sandro Molino - di sinistra, intellettuale, progressista, elitario, snob, tollerante; dall’altra c’è un gruppo familiare - che ha in Ruggero Mazzalupi, commerciante arricchito, il suo leader di riferimento – teledipendente, cinico, rozzo, caciarone, ignorante e de’ destra. Cosa possono avere in comune questi due emblematici comitive? Ma il minimo comune multiplo della nostra società, una latente e mai dichiarata infelicità dalla quale non ci si riesce a liberare. C’è un po’ di speranza, dopo questo momento di transizione? Quelli che apparentemente possono presentarsi come stereotipi da commedia vanziniana natalizia (anche se là la sinistra o è assente o è rompiballe) sono in realtà acuti ed impietosi sguardi su due realtà a prima vista antiteche, ma profondamente analoghe.
E Virzì, cineasta dalle non nascoste simpatie di sinistra, sembra fotografare con maggiore, gaudente ferocia quello che dovrebbe essere il suo gruppo di appartenenza (Molino & comp.) rispetto ai destrorsi Mazzalupi (vuol forse dire che non ci sono speranze che cambino e vanno presi per quel che sono, razzisti e edonisti?). Ferie d’agosto è dunque il più fedele ritratto di quel preciso momento storico e il microcosmo di Ventotene (che, secondo il viveur amico di Molino, “non è più quella di una volta” e, a dire di una delle ospiti dello stesso giornalista, sembra abbiano chiuso Rimini) rappresenta al meglio l’avanzata delle forze qualunquiste e imprenditrici nei luoghi tradizionalmente relegati ai seguaci di Togliatti e Berlinguer. Una sinistra che non sa cosa fare, non sa cosa dire, in attesa di entrare in un nuovo tempo in cui poter, finalmente, prendere in mano l’Italia.
Se la prima parte risulta tendente in maggior misura sul versante brillante e umoristico, nel secondo frammento si mostra per quel che è, un’amara commedia contemporanea disillusa e agra, illuminata dal sole splendente e dalle luci avvolgenti della notte marina. E se si può individuare un momento in cui si ha la sferzata è forse lo stacco in cui Ruggero dà il colpo di grazia con una pistola ad un povero gabbiano e passa subito ad urinare. Virzì – che ha scritto il film assieme al fido Francesco Bruni –, si sa, con gli attori ci sa fare, e non è un caso che tra i nipotini della gloriosa commedia all’italiana lui sia sempre al primo posto.
E in una commedia pressoché corale con due personaggi forti al centro della scena, spiccano i fantastici Silvio Orlando (il napoletano che non fa l’amore con la moglie da quando Bassolino è stato eletto Sindaco a Napoli – di questi tempi si consumerebbe solo nel momento in cui lascerà il posto…) ed Ennio Fantastichino (sempre a suo agio in ruoli cinici: lo stacco in cui si passa dall’uccisione del gabbiano alla pipì è tremendo), la malinconica Sabrina Ferilli, una nevrotica Laura Morante, un segretamente inquieto Piero Natoli, Paola Tiziana Cruciani, Raffaella Leboroni, Claudia Della Seta e la vegliarda Evelina Gori. Scena cult: dopo il sanguinoso ferimento di Sandro ad opera di Ruggero, il giovane Ivan sentenzia “è l’emmoragia dei consensi della sinistra”.
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