Regia di Paolo Virzì vedi scheda film
A Ventotene, sotto Ferragosto, due gruppi di villeggianti si ritrovano a essere vicini di casa: quelli del clan Molino sono progressisti, ambientalisti, terzomondisti, fumano spinelli e praticano il libero amore; quelli del clan Mazzalupi sono caciaroni, ignoranti, qualunquisti, xenofobi e teledipendenti. Per me questo è un film epocale, che sta all’Italia berlusconiana come Il sorpasso stava a quella del boom: fotografa con precisione millimetrica un momento storico e ne fa intuire i successivi sviluppi (nel personaggio del ragazzotto deideologizzato, che non fa più nessuna differenza fra destra e sinistra). Scrive Umberto Saba in Scorciatoie e raccontini: “Vi siete mai chiesti perché l’Italia non ha avuta, in tutta la sua storia - da Roma ad oggi - una sola vera rivoluzione? La risposta - chiave che apre molte porte - è forse la storia d’Italia in poche righe. Gli italiani non sono parricidi; sono fratricidi. Romolo e Remo, Ferruccio e Maramaldo, Mussolini e i socialisti, Badoglio e Graziani. [...] Gli italiani sono l’unico popolo (credo) che abbiano, alla base della loro storia (o della loro leggenda) un fratricidio. Ed è solo col parricidio (uccisione del vecchio) che si inizia una rivoluzione. Gli italiani vogliono darsi al padre, ed avere da lui, in cambio, il permesso di uccidere gli altri fratelli”. L’inizio è volutamente manicheo, e i ruoli sono definiti in modo fin troppo rigido: sembra non ci sia nessuna possibilità di dialogo fra i due gruppi, e ogni scusa è buona per alzare il livello dello scontro; ma basta poco per mettere a nudo il nocciolo di umanità nascosto sotto la scorza. La (meravigliosa) scena chiave è quella delle stelle cadenti, durante la quale ognuno esprime un desiderio, un sogno, un’aspirazione; non sempre legittimi, non sempre lodevoli, ma che trovano la giusta sintesi in quelli di Gigio Alberti: “un lavoro normale, una fidanzata normale, una casa normale, delle giornate normali, una vita normale”. Virzì racconta questo, pur girando una commedia: il dramma di un paese bloccato in contrapposizioni tanto ostinate quanto sterili, e condannato a un destino di quotidiana infelicità. Difficile indicare preferenze tra i personaggi di un film che ha nella coralità il suo punto di forza, ma trovo toccanti i duetti fra Antonella Ponziani e Piero Natoli: forse, fra la ragazza perduta e il buzzurro che confonde Bertrand Russell con Renato Rascel e una canzone sudamericana di lotta con La società dei magnaccioni, poteva nascere qualcosa nonostante le distanze siderali; ma in un’altra vita, e in un'altra Italia.
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