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Toy Story

Regia di John Lasseter vedi scheda film

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La recensione su Toy Story

di Alvy
10 stelle

Uno dei più grandi capolavori di tutti i tempi

 
 
 
1995. Gli anni Novanta raggiungono lo zenit prima di tramontare lentamente e lasciare il passo al nuovo secolo. Spiccano, come Sirio nel cielo notturno osservabile, Heat - La sfida di Michael Mann, Casinò di Martin Scorsese, Bravehearth - Cuore impavido di Mel Brooks, I soliti sospetti di Bryan Singer, Se7en di David Fincher, La dea dell'amore di Woody Allen, L'esercito delle 12 scimmie di Terry Gilliam, I ponti di Madison County di Clint Eastwood. Insomma, robetta. 
 
 
Come potrebbe un banale film d'animazione competere con tali capolavori? Come potrebbero due giocattoli - un cowboy con la voce di Tom Hanks (l'indimenticato Fabrizio Frizzi in Italia) e uno space ranger con la voce di Tim Allen (Massimo D'Apporto nel Bel Paese) - competere con registi del calibro di Eastwood, Allen, Scorsese, Mann e con le immense interpretazioni di Streep, Freeman, De Niro, Pacino, Portman, Stone, Spacey, Pitt? Non scherziamo. 
 
Invece, John Lassater e la neonata casa di produzione Pixar, di cui è membro fondatore, hanno tanta voglia di scherzare. 
 
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Circoscrivere la portata di Toy Story a due soli dati storici (primo film d'animazione realizzato interamente in computer grafica; inizio dell'epopea Pixar) sarebbe riduttivo ed ingeneroso. Toy Story è di più, molto di più. Toy Story rappresenta la nobilitazione definitiva di un genere - quello dell'animazione - ritenuto tradizionalmente, al di fuori di una strettissima cerchia di competenti appassionati, esclusivo appannaggio di un pubblico infantile. 
 
Per 'cartone animato' il grande pubblico ha sempre inteso tradizionalmente un prodotto frivolo, intriso di retorica quasi sempre insopportabile, di personaggi stereotipati, di intrecci prevedibili, di canzoni sdolcinate o drammaticamente sopra le righe, destinato ad un target molto basso. In nuce: un prodotto di mero intrattenimento, spesso di indubbia elevata qualità ma, pur sempre, fine a se stesso e, quasi sempre, privo di interesse - se non futilmente nostalgico - dopo i 14 anni di età. 
 
Il Rinascimento Disney - innescato a fine anni Ottanta da opere quali Basil l'investigatopo e portato al massimo splendore da La sirenetta, 1989, La bella e la bestia, 1991, Aladdin, 1992, Il re leone 1994 - attuò una significativa evoluzione del genere, i cui frutti sono ancora oggi ampiamente godibili e degni di ogni lode. 
 
Ma il concetto di 'evoluzione' è ben diverso da quello di 'rivoluzione'. Il primo Toy Story rappresenta la rivoluzione copernicana del mondo dell'animazione.
 
E' un po' eccessivo mettere sullo stesso piano il De revolutionibus orbium coelestium e il primo prodotto Pixar? A voi il giudizio, al termine di questa recensione.
 
Risultato immagini per toy story il mondo dei giocattoli
 
Come ogni rivoluzione che si rispetti, viene spazzata via ogni certezza: narrativa, tematica, stilistica.
 
John Lassater si propone un obiettivo: coniugare autorialità ed intrattenimento. Sì, è vero, fu la New Hollywood, quasi un quarto di secolo prima, a dimostrare che fosse fattibile. Ma l'intrattenimento per bambini consta di codici di messa in scena, analisi e decifrazione ben diversi. 
 
Toy Story può essere considerato una fine tavolozza dei sentimenti umani e, come i veri capolavori, rappresenta un affresco estremamente verosimile e realistico di situazioni e personaggi: la distinzione stereotipata tra bene e male, tra buoni e cattivi, è totalmente annullata. 
 
 
Risultato immagini per toy story il mondo dei giocattoli
 
Brutta bestia, la gelosia. Esattamente come il primogenito ravvisa nel fratello minore un usurpatore delle cure materne, allo stesso modo Woody non tollera che le attenzioni del proprio padroncino, il bambino Andy, vengano improvvisamente riversate sul giocattolo appena arrivato, lo space ranger Buzz Lightyear. Ad aggravare il sentimento di gelosia contribuisce il comportamento entusiasta degli altri giocattoli, prodighi di complimenti tanto per il lato tecnico (gadget multicolori, laser etc.) quanto per il lato umano del nuovo giocattolo. Woody, precedentemente sempre in prima linea nel tentativo di rassicurare e ridimensionare (Non capisco la vostra preoccupazione!) le ansie di coloro a cui Andy dedica meno tempo (Ah, certo che non si preoccupa! E' il preferito di Andy dai tempi dell'asilo! ironizza amaramente Mr. Potato), si sente crollare il mondo addosso ora che viene investito dalla medesima tempesta emotiva. 
 
Bel sentimento, l'empatia. La pretendiamo dagli altri quando ci lagniamo delle nostre disgrazie e dei nostri problemi, ma siamo troppo presi dal nostro ombelico per poterla riservare a coloro che, più o meno direttamente, se ne dimostrino bisognosi. L'egocentrismo che affligge Woody anestetizza ogni rispetto e considerazione per il prossimo, amico o estraneo che sia. 
 
Gli altri giocattoli sono esenti da colpe? Sembrano essersi tutti dimenticati dell'amico e leader (più che altro un primus inter pares), Woody. Il nuovo che avanza ha un fascino imperscrutabilmente irresistibile. Il passato è passato, tanto vale iniziare a dimenticarlo e, magari, a schernirlo: Ha più accessori lui [Buzz, nda] di un coltello in dotazione all'esercito svizzero esclama estasiata Bo Peep. Sardonico Mr. Potato: Com'è che tu non ce l'hai il laser, Woody? Ecco come alcune frasi apparentemente innocue siano in grado di descrivere il consumismo delle società occidentali, attratte dal progresso tecnologico in nome del quale il passato viene gettato nel dimenticatoio. Un inno al passatismo e alle odiose operazioni nostalgia? No, assolutamente. Un inno a cercare di capire come il passato - fronte obsolescenza - non vada gettato o ridicolizzato ma, al contrario, rispettato e compreso per meglio utilizzare e fronteggiare lo stato dell'arte e le sue possibile evoluzioni. Basti pensare, se mi si consente un volo pindarico, alle conseguenze di aver messo uno strumento straordinario quale Internet nelle mani di chi la Rete non la conoscesse/capisse affatto: complottismo, populismo, negazionismo, revisionismo. L'istruzione richiede necessariamente la conoscenza del passato. Non per esaltarlo alla maniera integralista e gretta di chi sia soggiogato da nostalgia e da sindromi di età dell'oro perdute, ma per trarne un insegnamento prezioso utile per il presente. Insomma, un tema che il grande Woody Allen avrebbe portato efficacemente sul grande schermo sedici anni dopo in Midnight in Paris e attuale ancora alla fine degli anni Dieci, come si evince dallo splendido La belle époque del grande talento francese Nicolas Bedos. 
 
E Buzz? Preso dal proprio narcisismo ed incapace di afferrare quale sia la propria natura (banale allocco per bambini e non reale space ranger che deve salvare l'universo dal male), anche a causa del compiacimento di tutti i giocattoli che evitano di rivelarglielo perché attratti dal suo carisma e dalla novità che apporta nella loro routine, non si rende conto di quanto la propria miopia lo accechi facendogli vivere un inganno paradossalmente autoindotto. Buzz è vittima del meccanismo psicologico della negazione. Autoconvintosi fideisticamente di certe idee, è inamovibile anche dinanzi all'evidenza (quando arriva Andy per giocare, soggiace al padroncino esattamente come tutti gli altri). Woody tenta di spiattellargli in faccia la verità: Ma lui non è uno Space Ranger! Non combatte i cattivi, non spara laser, e tanto meno vola! , Sono ali di plastica, non può volare! . Ma il cowboy non agisce per il bene di Buzz. Agisce esclusivamente per il proprio tornaconto personale, per ridicolizzare il nuovo arrivato agli occhi altrui, senza alcun rispetto per il vissuto e per le idee, per quanto oggettivamente sbagliate, del nuovo arrivato. Non tenta di comprenderlo perché pensa esclusivamente al proprio orticello e al proprio obiettivo di perpetrare una sorta di 'Restaurazione'. Ancora una volta l'empatia si dimostra aliena a tutti i protagonisti. Buzz stesso, indispettito dal comportamento del cowboy, dimostra la sua abilità di volo in maniera furba mediante acrobazie degne di uno spettacolo di circo d'alto livello, davanti alle quali i giocattoli-spettatori restano entusiasti come bambini davanti ad un giocoliere, incapaci di distinguere tra artificio e realtà oggettiva: no, non stiamo parlando di The Prestige del buon Nolan. Le acrobazie di Buzz raffigurano le acrobazie reali che ognuno di noi fa per giustificare il proprio operato ed autoassolversi, nella speranza che nessuno noti l'elefantiaco dettaglio nascosto che potrebbe inchiodarci. E la mente non può non correre al Vincent Hanna di Heat e al dialogo con la moglie Justine che si lamenta della solita estrema reticenza del coniuge nel raccontargli come sia trascorsa la giornata. Vincent, esasperato, ad un certo punto esclama: devo tenermi la mia angoscia, la devo proteggere, perché mi serve, mi mantiene scattante, reattivo, come devo essere. Buzz si comporta così. Non ne percepiamo sùbito i motivi psicologici come nel noir metropolitano di Michael Mann, ma gli effetti sono i medesimi. Apparenza e sostanza sono disgiunte. 
 
Le conseguenze della superficialità dei rapporti (assenza di empatia, arroganza nel pretendere che certe cose a noi non possano mai capitare) e dell'incapacità di mettersi in discussione mediante l'apertura verso il diverso o con la pacatezza di un discorso civile determineranno l'evolversi della trama, dalla quale tutti i personaggi impareranno qualcosa su se stessi e sugli altri. Rivelarlo sarebbe davvero ingiusto per quanti non abbiano ancora avuto la fortuna di immergersi in questo mondo.
 
Risultato immagini per toy story il mondo dei giocattoli
 
In tutto ciò, le risate non vengono trascurate. Battute, situazioni comiche, gag, sarcasmo si fondono perfettamente al lato autoriale e tematico, permettendo al pubblico infantile tanto di divertirsi quanto di comprendere seriamente cosa stia accadendo sullo schermo. Le musiche - retaggio del passato dell'animazione - vengono sapientemente scritte ed interpretate da Randy Newman (Riccardo Cocciante in Italia), capace di cogliere le due anime ugualmente importanti del film. Se You've Got a Friend in Me (Hai un amico in me), ad un primo ascolto, possa sembrare nettamente in linea con la tradizione musicale del genere, non si può dire lo stesso della sottovalutata e poco citata Strange Things (Che strane cose), florilegio meravigliosamente malinconico ma speranzoso, serio ma orecchiabile, audace ma misurato del senso più profondo del film e della scrittura dei personaggi. 
 
Il risultato finale è una catarsi degna dei più grandi prodotti artistici di tutti i tempi. 
 
 
La realizzazione in computer grafica mostra, dopo più di 25 anni, una certa vetustà: ma sarà proprio ciò che avremo imparato da quest'opera in termini di obsolescenza e di grandiosa ricchezza tematica a permetterci di chiudere un occhio. 
 
Nessun altro prodotto della serie riuscirà ad eguagliare la perfetta combinazione di autorialità ed intrattenimento del primo capitolo: il terzo tenta di avvicinarsi ma spinge troppo sul tasto 'adulto', perdendo più di qualcosa sul fronte meramente ludico. 
 
 
 
Recensione dedicata al grandissimo ed indimenticato Fabrizio Frizzi, di cui, tra poco più di un mese, ricorrerà il terzo anniversario della scomparsa. Da quel 26 marzo 2018, rivedere Toy Story non è più la stessa cosa. 
 
Risultato immagini per fabrizio frizzi woody
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