Regia di Martin Scorsese vedi scheda film
Imponente, titanico, ma anche profondamente amaro. Sono questi gli aggettivi che (mi) vengono in mente dopo aver visto “Casino”. Un'opera che nella sua maestosità non fa perdere la bussola a Scorsese , il quale riesce sempre a trovare il giusto equilibrio tra sfarzo (registico) e compostezza (narrativa), senza lasciarsi prendere la mano da quei superflui dolly svolazzanti o da quelle sfiancanti carrellate riscontrate ad esempio nell'ultimo “Shutter Island”.
Mischiando il collaudato schema di ascesa/discesa del gangster movie e ammantandolo di morbose tinte melodrammatiche, il (fu) grande regista italo-americano ci spalanca le porte del microcosmo America in un lungo flashback a due voci.
La Las Vegas di Scorsese è una Venezia che invece di poggiare sull'acqua, si innalza da un mare di denaro; un'isola (s)perduta circondata dalla sabbia del deserto, vero e proprio cimitero per chi non rispetta le regole. Tra i luccicanti palazzi di questa Babele della corruzione legalizzata si muovono Nicky (Joe Pesci), Ginger (Sharon Stone), Sam (Robert De Niro), novelli Icaro destinati presto o tardi a precipitare. Ognuno percorre la propria strada spinto dai propri spasmodici desideri; inesorabilmente, però, finiscono per incrociarsi ed inciampare l'uno sull'altro. La smania di potere di Nicky; la brama di denaro di Ginger; la voglia di essere accettato e rispettato di Sam. Ogni personaggio è caratterizzato alla perfezione in ogni sua singola sfumatura in un meccanismo ben oliato in cui la granitica sceneggiatura si amalgama alla perfezione con le interpretazioni degli attori: un De Niro non ancora schiavo delle proprie smorfie; una Sharon Stone mai così convincente nei panni di una donna intossicata dall'alcol, dalle droghe e dal denaro; un mefistofelico Joe Pesci che, rimanendo sulla stessa lunghezza d'onda di quello visto in “Quei bravi ragazzi”, riesce in più di un'occasione a rubare la scena a De Niro stesso.
Ad un certo punto, però, la vecchia Las Vegas, fatta ancora da uomini (con tutte le loro contraddizioni), inizia a sgretolarsi. Poco a poco, e non senza un filo di nostalgia, lascia il posto ad una nuova città in mano alle grandi company, tramutandosi di fatto in una Disneyland del denaro senz'anima.
Once upon a time in Las Vegas (U.S.A.).
8,5
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