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Padre

Regia di Giada Colagrande vedi scheda film

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La recensione su Padre

di OGM
6 stelle

Giulia ha perso il padre. Di lui rimane una musica sconosciuta, insieme a tanti perché. Un'eredità che indica, da lontano, la strada verso la rivelazione.

Universo di donna. L’assenza di una sfuggente figura paterna, da sempre incompresa, ed ora inspiegabilmente svanita, riempie l’esistenza di Giulia di una strana rarefazione. L’aria si fa ampia, più impalpabile e trasparente del solito, per ospitare il vago sentore di una presenza che non si vuole rivelare. Ciò che manca trasforma l’atmosfera in una trama popolata di frammenti spettrali, simili alle preziose sfaccettature di un’antica melodia. Giulia si muove guardinga e resta in ascolto. La sua casa, privata della familiarità di un tempo, è ora un luogo di passaggio,  un territorio di esplorazione per la propria, fino ad allora sempre trascurata, vita interiore. Il racconto di Giada Colagrande si sgrana con la prudente passionalità di un amore dichiarato con un filo di voce. Il suo cinema, stilisticamente sussurrato perché dichiaratamente intimo, cerca, ancora una volta, una densità espressiva che procede pericolosamente in bilico sull’orlo dell’autoreferenzialità di maniera. Qui la rovinosa caduta è tuttavia impedita da una sorta di rete invisibile, intessuta di polifonie letterarie, che sottrae alla narrazione il carattere egocentrico del film a modo mio. Giulia è la protagonista, il centro della prospettiva, la viaggiatrice dei propri sogni che ci guida orgogliosa attraverso il suo mondo, ma la sua figura è più dimessa che altera, e la sua incerta malinconia lascia aperta una crepa in cui si può intravvedere  un dubbio estetico, un’insicurezza emotiva che spogliano l’eroina della sua epica forza. Il suo dolore di figlia artista che ha perso il padre musicista, mistico, poeta si lascia ingabbiare in un vortice di suggestioni altrui, di cui si fa girandola, restandone ipnotizzata, a tutto beneficio della varietà dell’azione, dei sentimenti, dei ricordi, dei drammi che si alternano sulla scena. Tante sono le figure femminili, le storie di regine, danzatrici, maghe, registe, scrittrici di cui il suo sguardo percorre timidamente i tratti, sedendo tra il pubblico, restando in disparte, cantando o ballando nell’ombra. Lo spettacolo teatrale che inframmezza il racconto, già scandito da singole frasi di diario, sparge sulla tela – abbrunita dal buio della solitudine - manciate di una polvere argentata: il quadro acquisisce allora una luminescenza fredda, come un filmato in bianco e nero del passato, e prende vita da quel fremito muliebre che è il nobile pudore delle dee. Giulia non è la Madonna, ritratta in un’icona dal fondo dorato: lo nega sdegnosamente, sospinge quell’apparizione lontano da sé, perché sa che il sole non è la sua luce. Lo è stato, forse, per il padre, smarritosi, per ritrovare sé stesso nell’abbagliante vuoto del deserto. Ed ora passato ad un aldilà da cui continua a parlare, attraverso melodie, lettere, parole nascoste in un libro.  La sua chiarezza rimane coperta, per Giulia, dalla cortina del mistero. È un nulla che si proietta sui suoi giorni, scuotendone appena il ritmo. Vedere è, ora, per lei, lo scopo principale; superare la cecità è la preoccupazione costante di una ragazza abituata a guadarsi intorno, alle sue consimili, alle sue compagne di sventura, ma che non riesce, invece, a penetrare nella realtà di quell’uomo, che ha plasmato, intorno a sé, una realtà a propria immagine e somiglianza. L’interprete scelto per il ruolo, Franco Battiato, è, del resto, proprio l’emblema di un cosmopolitismo creativo e ideale, il cittadino dalle mille patrie, abitante di ogni terra, ma in un mondo appositamente reinventato.

Padre è la classica opera-esperimento perfetta nelle intenzioni, coerente nell’esecuzione, dal tocco personale cauto ma coraggioso, che non teme i mezzi toni, le ambiguità, le incompiutezze. Si lascia ammirare pur non dicendo tutto, o anche concedendosi qualche incursione dell’ingenuità. Sensibilissimo e gradevolmente modesto, il film non abbandona mai la sottile traccia di quell’ispirazione fanciullesca da cui è scaturito, e che non pretende di entusiasmarci, ma vuole solo,   en passant, contagiarci con il suo agrodolce, e confuso, sorriso dell'anima.  

 

Giada Colagrande, Claudio Colombo

Padre (2016): Giada Colagrande, Claudio Colombo

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