Regia di Stephen Herek vedi scheda film
Ritrovarsi a insegnare in una scuola per ripiego, senza nessuna vocazione, considerandola un’occupazione provvisoria, e poi passarci trent’anni (il titolo italiano rinvia a Goodbye, Mr. Chips, altra storia di una lunga fedeltà alla missione di insegnante). Sentire il peso di un’esistenza incompiuta, accantonare le velleità di successo, rinviare la realizzazione dei propri sogni a un futuro sempre più lontano e indeterminato (“La vita è quello che succede mentre siamo occupati a fare progetti”, dice quella canzone di Lennon). Avere un figlio sordo (una tragedia, per un musicista) e non riuscire mai ad accettarlo davvero, trattarlo come una mezza persona. Avere la possibilità di ricominciare tutto da capo in un’altra città, accanto a una giovane innamorata, e rinunciarci, perché no, non è quella la soluzione (“Non è così che l’avevo immaginato” “Ma così è meglio”). E alla fine, proprio nell’ultimo giorno utile, rendersi conto che tutto ciò aveva un senso che ci è sempre sfuggito. La cosa più simile a La vita è meravigliosa che il cinema americano abbia prodotto negli ultimi vent’anni è questo piccolo, misconosciuto capolavoro, diretto da uno Stephen Herek qualunque ma nobilitato da una grandissima interpretazione di Dreyfuss (candidato all’Oscar): l’everyman in cui ognuno di noi può rispecchiarsi fa i conti con sé stesso, con le sue scelte e non scelte, e si accorge con sorpresa di non avere le mani vuote. Finale consolatorio, certo, ma in questo mondo tutti abbiamo diritto alla nostra personale rivincita.
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