Regia di John Flynn vedi scheda film
Apologia della vendetta sullo sfondo della squallida provincia americana: The Outfit di John Flynn
John Flynn, trova in questa pellicola il perfetto equilibrio tra forma e contenuto. Opera complessa e cinetica (riferito soprattutto al grande numero di location impiegate) “The Outfit” (1973) e' tradotto abbastanza sciattamente in italiano con “Organizzazione Crimini”.
Noir crepuscolare e “fangoso”, completamente spogliato da qualsiasi afflato eroico o lirico che questo genere per sua natura ostenta o evoca. Tanto che, per la distanza che ideologicamente separa quest'opera dai suoi capostipiti, e' possibile scomodare anche la definizione fin troppo specifica di neo-noir.
Da grande amante di "Rapina a mano armata" ho sorprendentemente riconosciuto almeno 3 attori, peraltro secondari, del noir kubrickiano (Timothy Carey, Marie Windsor, e Elisha Cook). Il dettaglio fa capire quanto Flynn abbia voluto omaggiare un genere di cui "The Killing" e' una delle opere cardine.
L'antagonista di “The Outfit” e' Robert Ryan, e non come la logica avrebbe potuto farci pensare, Sterlyn Hayden, indimenticabile capo banda di “The Killing”.
Robert Ryan e Sterlyn Hayden sono le due piu' grandi icone del noir indipendente. Gemelli dello stesso personaggio “nero” (prendiamo i 2 ruoli speculari di rapinatori generosi e romantici di Strategia di una rapina e Giungla d'asfalto per esempio) separati alla nascita. Uno ha la stessa valenza dell'altro.
In “The Outfit”, una coppia di disillusi gangsters ormai in declino, cerca vendetta, contro una organizzazione criminale decisamente troppo potente e numerosa, per poter pensare di riuscire a sgominarla in sole 2 persone.
Ma come in altre opere di Flynn la vendetta diventa una forma d'essere e non d'agire.
Moto d'animo “revanscista” che riempie di significato esistenze votate alla delinquenza e ad una costante incertezza sociale, economica ed affettiva. La molla del riscatto prende il sopravvento sulla razionalità, che quasi sempre guida la strategia degli atti criminali. Tutte le decisioni e le conseguenti azioni, vengono attuate come se non ci fosse un domani, ma paradossalmente il senso di immedesimazione dello spettatore e' perfino piu' intenso, totale ed incondizionato. Senza renderci conto, empatizziamo con la loro irrazionalità.
Ma la forza del film risiede soprattutto nella sua “anima” rurale e la sua patina un po' sbiadita: tinte e atmosfere narrative perfette per ritrarre una disastrata provincia americana, tendenzialmente occultata dal grande cinema e dalla comunicazione di massa predominante.
La capacita' di trasformare i continui cambi di location in una parte drammatica attiva della narrazione permette di “mosaicare”, attraverso infiniti tasselli, uno spaccato vivido di America mai cosi' lontana e risvegliata dal suo ormai deriso e “vandalizzato” sogno.
Robert Duvall giganteggia con la sua mimica misurata che riesce comunque a sprigionare inaspettata ardente intensità. Al suo fianco, il “buddy” di turno è Joe Don Baker attore di spessore, sicuramente da recuperare e rivalutare.
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