Regia di Kathryn Bigelow vedi scheda film
Nella Los Angeles alle soglie del nuovo millennio, il razzismo dilaga e le agitazioni sociali sono quasi al collasso. Lo squid è la droga del momento. Si tratta di un dischetto, leggibile da un marchingegno molto simile ad un lettore cd collegato alle cellule celebrali, che riproduce momenti della memoria. Converte insomma i ricordi in momenti di vita vissuta e Lenny Nero è uno dei maggiori spacciatori. Quando entra in possesso di un dischetto con le prove dell'assassinio di un leader di colore da parte di poliziotti bianchi la sua vita sarà in pericolo.
La regista premio Oscar Kathryn Bigelow, ben prima che l’ambita statuetta le venisse consegnata, racchiude, in una pellicola dagli strambi tratti fantascientifici (nemmeno troppo marcati), alcuni dei messaggi che spesso ritroviamo nelle sue altre pellicole, qui solo accennati, per tessere la rete di informazioni necessarie a far meglio comprendere l’angusta situazione in cui il protagonista si trova immischiato, innalzandone così anche il grado di pericolosità.
Partendo da un pregiudizio comune e diffuso, quello che con l’avvento del nuovo millennio presagiva un passaggio naturale al futuro cyborghizzato, la Bigelow utilizza una fotografia tale da caratterizzare Los Angeles con quella che sarebbe potuta essere la visione, almeno in parte, futuristica della città. Ciò che la regista mostra non è tanto l’aspetto in sé della metropoli, che resta invariato e piuttosto in secondo piano, quanto la tecnologia che ha rapito i suoi abitanti, avanti anni luce rispetto a quello che poi sarebbe stata in realtà l’evoluzione tecnologia di quei tempi.
Pur presagendo un malato coinvolgimento collettivo, oltre a mostrare gli effetti negativi di un abuso tecnologico di tale portata, non manca di analizzare gli aspetti più interessanti del giusto utilizzo di uno strumento potente quanto potrebbe esserlo quello che registra i ricordi di una persona. Quasi una sorta di terapia contro la solitudine, la perdita o la mancanza, un modo per sopperire, sfuggire alla realtà amara che ci circonda.
Anticipando temporalmente la venuta di Black Mirror, che a suo modo anni dopo tratterà l’argomento, la Bigelow personalizza la regia di una sceneggiatura scritta a quattro mai da James Cameron (che non ha bisogno di presentazioni) e Jay Cocks (nemmeno lui, vedere i film di Scorsese per credere), dando al film un’impronta emozionale che è propria del suo stile. Ma questo non basta a regalarci un film appetibile.
La narrazione infatti sembra perdersi nei meandri di personaggi a volte solo accennati e mai veramente definiti. La stessa tecnologia in uso è spiegata in più passaggi senza dei veri approfondimenti, creando così un vuoto spiegativo che finisce per intaccare sul fascino sommario della pellicola che sembra sempre solo abbozzata e mai pienamente raccontata. Una pellicola discreta senza infamia e senza lode a cui, a tempo perso, si può concedere comunque una visione.
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