Regia di Ricky Tognazzi vedi scheda film
Ricky Tognazzi è stata una bella promessa non mantenuta. Non ha sbagliato un colpo per quasi dieci anni e si è imposto con uno stile che bagnava nobilmente il naso ad una certa cinematografia americana senza dimenticare la dimensione civile e l’identità italiana (La scorta ne è l’esempio lampante). Vite strozzate è un punto di rottura che poi porterà al discutibile tv movie americano I giudici su Falcone e Borsellino e alla carriera recente.
Il film non è riuscitissimo, ha qualche lentezza di troppo e sembra appellarsi ad un immaginario che ha ancora il sapore becero degli anni ottanta: eppure riesce a non essere mai rozzo ed ha una robustezza di fondo (il trio Tognazzi-Izzo-Diana, più l’apporto di Giuseppe Manfridi, era capace di cose esimie) che tiene alta la tensione per buona parte della storia. Al centro c’è il delicatissimo tema dell’usura, trattato con impegno e cognizione di causa senza mai essere stonato o inopportuno ma affondano anche le mani nella sgradevolezza del complesso (rifuggendo così la deriva da fiction in cui ora Tognazzi sguazza).
Sgradevolezza espressa perfettamente da Luca Zingaretti nei panni dello squallido strozzino che nella vita quotidiana fa il commercialista ed ha come principali interessi il sesso e i soldi. Due mondi rappresentati dalle due anime femminili principali della storia: da una parte c’è Sabrina Ferilli colta nella sua sofferta sensualità di moglie in pericolo; dall’altra c’è una grande Lina Sastri, dark lady del Vesuvio con una parrucca bionda alla Barbara Stanwyck, cinica e spietata vedova di un camorrista. L’incessante contributo musicale di Ennio Morricone sottolinea le tinte forti del film, a volte un po’ troppo.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta