Regia di Ninni Bruschetta, Francesco Calogero vedi scheda film
Una goliardata che sarebbe ai limiti del guardabile, se non avesse il pudore dell'intelligenza e dell'autoironia. I protagonisti si divertono e finiscono per divertire, ma il risultato è per palati forti.
Una goliardata ai limiti del guardabile, se non avesse il pudore dell'intelligenza e dell'autoironia. L'occasione è il Festival di Taormina del 1988, dove, come in un calderone in perpetua quanto inutile ebollizione, si aggirano gli animali che compongono il circo della settima arte. Critici a caccia di accrediti ("Cosa sono le recensioni cinematografiche se non giochi di parole?", pontifica Tatti Sanguineti in quella che forse è la più bella battuta del film), registi dai pruriti wellesiani che al primo film già vorrebbero essere d'essai, collaboratori improbabili, divi del cinema d'antan in trasferta (le immagini rubate di Cyd Charisse in conferenza stampa e spacciate per "partecipazione straordinaria", con tanto di foto nei titoli di coda, sono il massimo della spudoratezza), attricette agli esordi che vorrebbero far cambiare le piastrelle della stanza d'albergo per accordarle al colore dell'acqua, con i vari personaggi di contorno. Ma il tutto nasce da un amore verace per il cinema (come altro interpretare la visione epifanica del fassbinderiano Veronika Voss da parte di un agorafobico mai entrato in una sala?) e da una conoscenza sul campo dei suoi meccanismi nobili e meno nobili. Il cinema guarda se stesso come in uno specchio deformato, e riconosce, accentuandoli, i clichés che lo riguardano. Donald Ranvaud, Tatti Sanguineti, Lella Costa, si divertono, e finiscono per divertire. Rigorosamente per palati forti.
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