Regia di Rob Reiner vedi scheda film
Bel film, grande Douglas e bella Bening. Per il resto, leggete la recensione. Questo è grandissimo Cinema commovente e trascinante, malgrado il patriottismo esagerato.
Ebbene, oggi per i nostri Racconti di Cinema, disamineremo brevemente, speriamo però esaustivamente, il film Il presidente (The American President), pellicola del ‘95 diretta finemente da Rob Reiner (Stand By Me - Ricordo di un’estate, Harry, ti presento Sally, Misery non deve morire), sottotitolata, per il mercato italiano, con Una storia d’amore.
Opus pregevole, delicata e appassionante, magistralmente diretta, ottimamente apprezzata, ai tempi della sua uscita nelle sale, dall’intellighenzia critica statunitense. Infatti, può a tutt’oggi vantare una lusinghiera media recensoria presso i maggiori siti aggregatori di recensioni, quali metacritic e Rotten Tomatoes, assai meno, ahinoi, da quella europea e, in particolar modo, italiana. Che la sottovalutò non poco, quasi unanimemente definendola retorica e stucchevole, sebbene garbata e piacevole da guardare.
Il presidente - Una storia d’amore dura centoquattordici minuti corposi e fu brillantemente sceneggiato da nientepopodimeno che il valentissimo Aaron Sorkin, premio Oscar come writer per The Social Network di David Fincher, autore di splendidi script, spesso lungimiranti e sovente eccellenti, per altrettanti film ragguardevoli quali, ad esempio, Nemico pubblico di Tony Scott & L’arte di vincere di Bennett Miller, regista, peraltro, sempre più in gamba e in esponenziale crescita spasmodica che, ultimamente, ha difatti diretto i notevoli Il processo ai Chicago 7 e Being the Ricardos.
Trama, sintetizzata ivi in poche righe per non esservi pedanti e soprattutto per non rovinarvi i vari risvolti interessanti e le belle sorprese in cui v’imbatterete durante la visione, fruendone attraverso il suo morbido ed elegantemente snocciolatoci intreccio ingegnoso e superbamente congegnato, in quanto Il presidente - Una storia d’amore, sicuramente, vi stupirà non poche volte in maniera, potremmo dire, godibilmente soffice:
Il fittizio Presidente degli Stati Uniti di nome Andrew Shepherd (un brillante Michael Douglas fascinoso e perfetto, dal distinto charme inimitabile, d’altronde, era all’apice dei suoi recitativi anni migliori e in avvenente maturità piacente), nel pieno del suo secondo mandato e in prossimità delle venture, immediate rielezioni, per fatue circostanze del bislacco destino, sì, per pure fatuità imponderabili, s’innamora fatalmente della lobbista per l’ambiente, Sydney Ellen Wade (un altrettanto magistrale Annette Bening dolcemente calatasi, nel ruolo da lei ben incarnato, con vigorosa bravura e un piacevole sex appeal che non guasta). Nel frattempo, deve difficilmente gestire la bigotta reazione dell’opinione pubblica, scossa dalla sua relazione succitata che suscita, inevitabilmente, scalpore presso il puritanesimo degli elettori, districandosi fra una crisi militare in Libia per cui scoppierà un conflitto bellico da lui, per cause di forza maggiore, innescato. Come se non bastasse, a mettergli i bastoni fra le ruote e a compiergli, a suo danno, un’elettorale campagna senz’alcuna esclusione di colpi bassi e meschini, la sua politica controparte rappresentata dal cinico e sleale senatore Rumson (Richard Dreyfuss). Ce la farà l’uomo più potente del mondo, ovvero Shepherd/Douglas ad aggiudicarsi, diciamo, la partita, vincendo la disfida, non perdendo la faccia, l’onore, la gloria e soprattutto il suo romantico, languido e bellissimo amore favoloso che vale tutta una vita?
A comporre il ricco e variegato cast, oltre naturalmente ai menzionativi due protagonisti sfavillanti, entrambi candidati ai Golden Globes, assieme alla sceneggiatura di Sorkin, alla regia di Reiner e alla nomination come Miglior Film, rimanendo però, in tutte le appena suddette categorie, sconfitto e perfino escluso totalmente agli Oscar se non per le musiche, ridondanti e pompose ma di sicura presa emotiva davvero infallibile, firmate da un ispirato Marc Shaiman, un puntuale Richard Dreyfuss, un simpatico sebbene un po’ in disparte e defilato Michael J. Fox, faccia comunque azzeccata per la parte assegnatagli, e specialmente un carismatico Martin Sheen d’annata. Il quale, ricordiamolo giustamente, fu lui stesso, ne La zona morta di David Cronenberg, un Presidente degli States. A differenza però di quello di Douglas, impeccabilmente integerrimo e dall’infrangibile morale incorruttibile in tale pellicola di Reiner, Sheen fu villain.
Funzionale fotografia di John Seale (Mad Max: Fury Road, Il paziente inglese) e calibrata regia d’un Reiner che, dopo la prima sua ora diretta con gusto straordinario, malgrado l’esaltante finale, sì, retorico e patriottico oltre misura ma al contempo cinematograficamente ed emozionalmente, visceralmente potente, nella parte centrale perde qualche colpo, afflosciandosi in qualche lentezza didascalica non necessaria e poco in linea con la sobrietà dell’impalcatura diegetica, ripetiamo, del suo incipit folgorante e avvincente.
Detto ciò, Il presidente è una perla e una pellicola, quanto prima, da rivalutare positivamente.
Poiché, nonostante i crismi difettosi dell’hollywoodiano Cinema più mainstream, ampollosamente, talvolta, sdolcinato e a stelle e strisce tout-court (ed è il caso, ovviamente, di evidenziarlo a lettere cubitali), con annessi tutti gli incurabili eccessi enfatici che ne derivano, si lascia vedere che è un piacere impagabile e strepitoso.
di Stefano Falotico
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