Regia di Robert Rodriguez vedi scheda film
Non all'altezza del primo capitolo della saga di Rodriguez.
L'atto secondo della Trilogia del Mariachi di Robert Rodriguez enuclea con cristallina esattezza quelle che sono alcune fenomenologie degeneri del cinema americano. Per questo film il regista pulp ebbe a disposizione un budget di qualcosa come duecento volte (!) quello della sua opera prima, El Mariachi. Tuttavia costosità non vuol dire necessariamente qualità e non poche volte ne diventa negazione. Nel secondo capitolo dei suoi burrito western decadono tutti i motivi che avevano reso l'epopea del mariachi un interessante esperimento, molto tarantineggiante ma anche molto personale. I personaggi fanno troppo maschera hollywoodiana: Banderas sembra sapere sempre quando, come e dove fare quello che deve fare, la Hayek idem, e Buscemi, beh, è il solito Buscemi. Dove sono finite la spontaneità e la deliziosa improvvisazione degli attori non professionisti del primo capitolo? Che ne è stato della casualità delle situazioni che eleggevano a risolutore il personaggio più impensabile? Qui le scene di sangue sono tutte annunciate, tutto è prevedibile: tempistica, sanguinosità, vincitori. Si annega nel conformismo dello spara-spara hollywoodiano, ricco di spettacolarità ma povero di pathos. La regia è affaticata, il virtuosismo tecnico è più raro, l'inquadratura ardita anche: il regista si è seduto sull'alloro della notorietà acquisita (se solo Tarantino fosse intervenuto anche nella macchina produttiva piuttosto che limitarsi a fare la consueta parte del tordo impallinato...). Persino il finale diviene paradigmatico di come sia cambiato il vento: il misterioso Mariachi, uscito ambiguamente sia vincitore sia sconfitto dall'agone nel primo film, in cerca di uno scopo e di una vendetta per continuare a vivere, qua diviene soggetto quasi passivo del più classico e frusto degli happy end hollywoodiani.
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