Regia di Michael Mann vedi scheda film
Chissà se quel genio di Michael Mann prima o poi deciderà di pubblicare una raccolta di poesie dal titolo "Metropolitan City", visto che tanto per un suo nuovo film non ci sarà tempo, quindi tanto vale mettere su carta la sua indubbia sensibilità di poeta urbano, capace di trovare il lato più poetico nell'ammasso verticale e metallico all'interno della metropoli alienante, dove le vite più disparate s'incontrano e s'incrociano, in questa fiumana di gente che và e viene a Los Angeles, dove la polizia capitanata dal tenente Vincent Hanna (Al Pacino), cerca di catturare una banda di rapinatori il cui leader è Neil McCauley (Robert De Niro), autore insieme ai suoi complici di un furto di titoli al portatore in cui ci sono andati di mezzo tre agenti, ma non pago di ciò, per conto del suo committente Nate (Jon Vought), decide di pianificare un colpo sensazionale di oltre 12 milioni di dollari, la cui spartizione lo sistemerebbe a vita.
La macchina da presa è lo sguardo privilegiato del regista sul palcoscenico metropolitano, in cui si muovono le varie pedine tra le varie vie ed edifici, Mann si prende i suoi tempi, codifica ai massimi livelli il ritmo e le cadenze del thriller metropolitano, dall'andatura di una partitura jazz, senza mai sparare la tensione alle stelle, ma mantenendola sempre sotto il picco massimo, per evitare di scadere nell'azione, genere che a lui interessa meno, a scapito del thriller-noir, il quale gli consente nell'arco di tre ore di esplorare le esistenze dei molteplici personaggi, tutti caratterizzati senza sviolinature eccessive o sbavature di tono, dove la scenografia e la composizione estetica di Dante Spinotti, penetrano all'interno delle vite disastrate dei protagonisti, con dei tocchi visivi che restituiscono sin dall'arredamento le loro psicologia, cominciando dalla sistemazione dei mobili tutta post-moderna di Vincent Hanna, tenente efficace nel suo lavoro, ma al terzo matrimonio, di cui quest'ultimo in procinto di naufragare, preferendo più che la compagnia della moglie o della figliastra adottiva Lauren (Natalie Portman), quella dei corpi brutalmente fatti a pezzi dai vari psicopatici della città, mentre il suo alter-ego Neil, ad una relazione fissa c'ha rinunciato del tutto, preferendo un'esistenza senza legami di cui in 30 secondi può farne a meno se sente puzza di sbirri dietro l'angolo, conducendo una vita errabonda, con una casa perennemente vuota ed incompleta, alla domanda di Chris (Val Kilmer), membro della su banda, sul perchè non compri dei mobili, l'uomo risponde seccamente di non avere tempo; sia a Vincent che a Neil, dei legami affettivi frega fino ad un certo punto, non che non sentano il bisogno di averne, ma anche se cercano di coltivarli, per le contingenze del caso e per via del loro lavoro in cui mettono tutto loro stessi, finiscono con l'essere in secondo piano.
Entrambi gli uomini seduti al tavolo di un bar rigettano contro l'un con l'altro la colpa dei rispettivi problemi, ma la verità è che nessuno dei due vuole lasciare la propria professione, perchè altrimenti la loro stessa esistenza diventerebbe un qualcosa priva di significato in una megalopoli come Los Angeles, pronta a disperdere per poi fagocitare i singoli atomi, incapaci di farsi molecole , se non attaccati ad un qualcosa, che per Vincent e Neil, non potrà mai coincidere con i legami affettivi, perchè in fondo sono proprio due facce opposte della stessa medaglia, cosa sottolineata nel più classico dei campi e controcampi, ma mai come in Heat capace di assurgere ad emblema per via della scelta dei due interpreti principali Al Pacino e De Niro, i più grandi attori della Nuova Hollywood, che brillano al massimo del potenziale nel loro ultimo canto del cigno.
Caricato, senza strafare il personaggio di Al Pacino, per mascherare i fallimenti umani, mentre De Niro risulta sottile ed essenziale nella recitazione, proprio come richiede la propria filosofia di vita sul vivi e fuggi via al minimo segnale di pericolo.
Michael Mann però penetra lo sguardo nelle vite di tanti altri personaggi, di cui sicuramente dopo la coppia protagonista, quello più carico di significati è il Chris di Val Kilmer, con sua moglie Charlene (Ashley Judd), ai ferri corti da tempo, eppure quest'ultima capace di fare il più grande sacrificio per la salvezza di tutti e del loro figlio, senza pronunciare una parola, mimando un piccolo gesto, comprensibile solo per una coppia che a dispetto di ciò che entrambi dicono, in realtà ha ancora una grande complicità, ma costretta a dover far i conti dolorosi con la legge della metropoli.
Ma sarebbe un torto non citare l'essenzialità del committente interpretato Jon Voight, l'egocentrismo saccente di un uomo d'affari che non vuole perdere come il Van Zant di Feitcher, ma anche la voglia di voler sfondare nonostante un lavoro sottopagato come quello di Haysbert, l'ammissione dei propri limiti di Trejo, l'irruenza della furia omicida di Kevin Cage, senza dimenticare di citare le donne, portatrici di una componente romantica per nulla banale, ultime avanguardie di un cinema sempre più anemico e privo di ogni sentimento, perchè le donne in Mann, concedono e sacrificano sotto silenzio molto di loro stesse, dai tradimenti per farsi ascoltare da parte della Justine di Venora, al già citato personaggio di Ashley Judd, fino alla confusione nell'affrontare una possibile vita alternativa da parte del personaggio interpretato da Any Brennemann, la quale vorrebbe far cambiare filosofia di vita a Neil, subendone la sua contraddittorietà, sin dalla loro stupenda conoscenza in un bar.
Quasi tre ore belle piene di una durata mai pesante, perchè il regista gestisce sapientemente il ritmo ed il montaggio, senza fasi di stanca e piazzando precisamente i climax al momento opportuno, dimostrandosi adattissimo dal passare dalle relazioni umane, al lato thriller con estrema disinvoltura, scolpendo dialoghi e sequenze, che sono la storia del cinema; dalla rapina iniziale al furgone (Nolan gli deve molto come da lui stesso ammesso nel Cavaliere Oscuro, ma forse l'interno film, visto che come disse il defunto nonno, la pellicola del cineasta inglese infondo non è che una trasfigurazione in chiave cinecomics di Heat, solo che al posto di Al Pacino e De Niro, abbiamo Batman contro Joker), il furto nella banca nazionale, la sparatoria in strada, le scene di omicidi etc... sono troppe per mettersele ad elencare una ad una, perchè Heat è un'opera corale perfetta, nella quale non riesco a trovare difetti di sorta o comunque se ve ne sono secondo alcuni, vi prego di dirmi quali sono, perchè io non li vedo, se non forse che Michael Mann con il passaggio al digitale nei primi anni 2000, probabilmente cattura l'atmosfera metropolitana con una poesia ancora maggiore, senza quei contorni netti dovuti alla pellicola, cercando un'astrazione narrativa sempre maggiore, che in effetti dopo Collateral (2004), diventeranno sempre più tracce su cui costruire delle sensazioni urbane, più che narrare delle storie, ma in realtà anche nella compiutezza narrativa di Heat - la Sfida, tutto questo è perfettamente presente. Fortunatamente l'opera fu un grande successo ai botteghini, su 60 milioni, ne realizzò oltre 180, ricevendo numerosi elogi da parte della critica (tranne Moretti, ma vabbè lui non ci arriva di suo), che però non le hanno portato questo capolavoro assoluto ad alcun premio e nè nomination agli oscar (era il miglior film dell'anno), nonostante l'indubbia influenza su tutto il cinema successivo.
Film aggiunto alla playlist dei capolavori : //www.filmtv.it/playlist/703149/capolavori-di-una-vita-al-cinema-tracce-per-una-cineteca-for/#rfr:user-96297
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