Regia di Francis Ford Coppola vedi scheda film
Il Vietnam come pretesto, metafora, categoria dello spirito: Coppola mette a nudo il cuore di tenebra dell’uomo bianco e ne rivela la natura selvaggia. Immergendosi nell’orrore i migliori, come Kurtz, vanno completamente fuori di testa; Duvall, nel suo piccolo, pratica il surf, mitraglia al suono di Wagner e annusa l’odore del napalm; al livello più basso, la truppa si accontenta delle conigliette di Playboy. Compiuta la discesa del fiume (una sorta di viaggio agli inferi) Kurtz, a lungo evocato, finalmente si materializza e filosofeggia sul bene e sul male; Brando, più che recitare, occupa uno spazio come un totem (e infatti lo idolatrano). Com’è prevedibile, la sceneggiatura di Milius (che cercherà di fare qualcosa di simile con Addio al re) è delirante ma funzionale al contesto. Non è il Coppola che preferisco, ma tanto di cappello. [Una curiosità, probabilmente nota ai più ma di cui mi sono accorto solo alla seconda visione: quando Willard arriva nel villaggio di Kurtz, sullo sfondo si intravede, piccola ma ben chiara, la scritta bianca “Apocalypse now” su un sasso]
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