Regia di John Landis vedi scheda film
Anatomia di un omicidio: senza tirare in ballo - anche scherzosamente- il titolo di Otto Preminger, l'omicidio in questione e' quello perpetrato da Eddie Murphy ai danni della sua stessa carriera. Murphy, infatti, rappresenta il classico esempio di attore diventato famosissimo tutto d'un botto che, altrettanto in fretta, e' precipitato verso il basso come consensi del pubblico e visibilita' a causa di scelte sbagliate ed incapacita' a rinnovarsi. Murphy e' stato uno dei re incontrastati degli anni 80 e le sue caratteristiche fondamentali sono sempre state la parlantina sciolta e logorroica e la classica risata fragorosa (resa benone, peraltro, da Tonino Accolla), ma gia' con i primi anni 90 questa fortuna quasi esagerata cominciava gia' a scricchiolare: titoli come Il principe delle donne o Il distinto gentiluomo non hanno incontrato i favori del pubblico - non di sicuro come i suoi film precedenti - forse a causa di sceneggiature scarse o di un personaggio (lo stesso Murphy) alla lunga stancante. Personalmente posiziono l'inizio del vero declino di Murphy proprio con questo terzo capitolo della saga Berverly Hills Cop, messo in piedi - credo - solo come pretesto per un rilancio della carriera dell'attore attraverso il suo titolo piu' famoso. In realta' Beverly Hills Cop 3 e' il classico titolo in cui nessuno, a cominciare dagli addetti ai lavori, ha mai creduto sul serio. La colpa' principale e' quella di aver tradito lo spirito originario della saga - nata come una commistione tra il poliziesco action e la comicita' politicamente scorretta di Murphy - ed averla trasformata in un poliziottesco perbenista e all'acqua di rose. Mancano tutte le gag e i giochi di parole di Murphy, manca parte del cast originale, manca un plot investigativo (quindi la trama) degno di nota. Oltre a Murphy, in sella al film rimane solo Judge Reinhord (che interpreta Billy Rosewood), mentre, per esigenze di lavoro e ritardi nelle riprese, dal film si smarcarono sia John Ashton/John Taggart che Ronny Cox (il Capitano Bogomil): l'affiatamento del terzetto dei protagonisti e' stato uno dei punti di forza della saga; al posto dell’assente Ashton venne chiamato Hector Elizondo, bravo caratterista nonché attore feticcio del regista Garry Marshall. Il personaggio di Elizondo non è altro che una variante di quello interpretato da Ashton (il poliziotto più anziano e teoricamente più saggio), ma Elizondo non può fare granchè dovendo lavorare su di una figura tutto sommato anonima, senza dei veri punti di forza. Ripeto, Ashton funzionava sicuramente di più anche per la sua acquisita famigliarità all’interno dei due film precedenti.
Eddie Murphy, Judge Reinhord e Hector Elizondo "bolliti".
Anche con i “cattivi”, in questo caso, si è giocato al risparmio: la saga, almeno per i primi due film, aveva potuto contare sulla presenza di caratteristi solidi e conosciuti, gente come Steven Berkoff, Jonathan Banks, Jurgen Prochnow, Dean Stockwell – anche la stessa Brigitte Nielsen – apparivano come dei villain credibili e, al momento opportuno, anche piuttosto temibili. In questo caso, invece, il ruolo è andato a Timothy Carhart, un attore non particolarmente conosciuto che, oltre a questo film, ho potuto vedere solo in ruoli secondari. Qui interpreta un poco memorabile capo della sicurezza del parco giochi Wonderworld, a Los Angeles, che assieme ai suoi scagnozzi – gli altri addetti della sicurezza – ruba della carta filigranata della Zecca per produrre dollari falsi, avendo la propria stamperia clandestina proprio dentro al parco giochi (!), nel retro di una giostra chiusa al pubblico. Tra tutti i plot polizieschi possibili è stato scelto quello sicuramente più stupido che, oltretutto, è stato approvato dopo averne scartati molti altri forse più accreditabili: per esempio, ho letto che un primo soggetto prevedeva Foley, Rosewood e Taggart in trasferta a Londra per salvare il Capitano Bogomil dai terroristi; oppure, un altro soggetto era incentrato su Foley ed il suo collega di Detroit Paul Reiser che avrebbero dovuto scortare un pericoloso criminale, più l’intervento dei canonici Rosewood e Taggart. Ripeto, per quanto appena abbozzati, questi due plot mi sembrano più interessanti rispetto alla vicenda del parco giochi/zecca clandestina poi portata su schermo. Alla regia, dopo il brioso Martin Brest ed il cinetico Tony Scott, è stato chiamato lo spompato John Landis, evidentemente non a suo agio con il genere poliziesco, seppur sporcato di commedia. Landis, la cui verve registica si è sgonfiata negli anni, gira una vicenda dal fiato corto e dai ritmi quasi para-televisivi; di sicuro non bastano tre scene d’azione centellinate per dare corda la film: mi riferisco all’inseguimento automobilistico iniziale, la canonica sparatoria finale nel parco giochi ed il salvataggio del bambino sopra la ruota panoramica a metà film; tra l’altro, quest’ultima scena concepita in maniera cretina (Murphy, per sfuggire dagli scagnozzi del “cattivo”, non trova di meglio che andare a farsi un giro proprio sopra alla ruota panoramica). Così come non basta nemmeno la presenza dell’attore Bronson Pinchot nei panni dell’altrettanto logorroico Serge, in questo caso venditore di assurdi fucili mitragliatori multi-funzione. Insomma, Beverly Hills Cop 3 è un film fiacco ed ingiustificabile nella sua realizzazione, soprattutto se paragonato (ma è un paragone impietoso e inutile) ai primi due riusciti e divertenti capitoli della serie.
"E' tornato. Più azione. Più emozioni." Ma dove?
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