Regia di John Woo vedi scheda film
Liberamente ispirato a Frank Costello faccia d'angelo di Melville, ma in qualche misura debitore anche nei confronti dell’opera di Peckinpah, The Killer è il capolavoro assoluto di John Woo, nonché, chiaramente, uno dei più significativi esempi del cinema d’azione made in Hong Kong.
L’unico altro suo film che può ambire a rivaleggiare alla pari con questo è il successivo e altrettanto immortale, tragico, visionario Bullet in the Head. Ma, al di là di ciò, per riprendere il discorso: si può tranquillamente affermare The Killer rappresenti il vertice, l’apice, l’apogeo, lo zenith dell’action hongkonghese che difficilmente in seguito arriverà nuovamente a toccare simili vette.
Non bisogna però lasciarsi “fuorviare”, perché sotto la scorza del film di genere duro e puro, difatti, si “cela” molto di più, una complessità di temi, una maestria registica e un generale approfondimento delle psicologie dei personaggi con ben pochi equivalenti tanto tra i suoi epigoni che tra i suoi precedessori.
Woo innanzitutto riesce a dar vita a personaggi credibili, realistici e tormentati, ricchi di sfumature e contraddizioni, che assumono, talvolta, una statura quasi tragica, anzi si potrebbe azzardare sin quasi epica.
Personaggi, tra l’altro, che, per loro caratterizzazione e per via delle traversie cui incorrono, finiscono un po’ per riassumere tutti i connotati tipici del cinema del regista (l’amicizia virile, la violenza esasperata, la tragedia un po’ melodrammatica dell’eroe d’altri tempi, l’impossibilità del riscatto [Chow vorrebbe cambiare vita, ma le circostanze glielo impediranno], il miraggio d’una salvezza in extremis…).
A quest’ultimo proposito: alquanto evidente il pervasivo simbolismo religioso – cristiano – di cui sono imbevute diverse scene; ma ciononostante il film non si fa mai pesante né declamatorio, e inoltre rimane pur sempre profondamente pessimista: un racconto, in sostanza, duro, tremendo, senza vie di scampo, emotivamente devastante, mirabile fusione di noir, melò e azione.
Che, sul versante spettacolare, rimane ancora, ad oltre trent’anni di distanza, qualcosa di assolutamente eccezionale e, se così si può dire, ammaliante. Un film che ha fatto scuola (vedi Tarantino & Co.), e non per niente.
Le scene d’azione sono imponenti, ricchissime, stupendamente coreografate, in qualche caso semplicemente geniali e questo è dovuto in non indifferente misura al perfetto senso del ritmo e dello spazio di cui fa bella mostra il regista, il quale decide di passare con “nonchalance” e ottenendo incredibili risultati dal montaggio frenetico al ralenti alle sinuose carrellate nei momenti più “distesi” (l’intramontabile, barocca, incredibile sequenza finale da sola vale la visione e rappresenta senza dubbio una delle pagine più alte del cinema d’azione di qualunque epoca).
Dunque, se anche non interessano o appassionano le tematiche trattate, e nonostante l’opera di Woo rimanga, come detto, comunque qualcosa di più d’un piatto e banale “sparatutto” privo di costrutto, ragione più che sufficiente per vedere The Killer è anche solo l’azione straordinaria e sbalorditiva, capace di far impallidire qualunque film di genere contemporaneo e in special modo americano.
Iper-violento, melodrammatico ma mai melenso, toccante quando non lancinante, intenso quando non fin “insostenibile” tant’è l’adrenalina che riesce a porre in circolo, il capolavoro del regista s’afferma indubbiamente come uno dei migliori film degli anni Ottanta, tappa “apicale” nel percorso di crescita e maturazione del cinema del suo autore, ma del cinema d’azione in genere.
Piccola curiosità: gran parte dello script venne redatto dal regista direttamente sul set, nel bel mezzo delle riprese che si svolsero nell’arco di 90 giorni, di cui ben 26 dedicati solamente alla sequenza della sparatoria nella casa sulla spiaggia e addirittura altri 36 dedicati invece a quella finale nella chiesa. Il titolo originale significa “Due proiettili eroici”.
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