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La sindrome di Stendhal

Regia di Dario Argento vedi scheda film

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La recensione su La sindrome di Stendhal

di mm40
2 stelle

Una ragazzina impacciata di vent'anni, esperto sbirro a caccia di un feroce assassino, sviene agli Uffizi: è la sindrome di Stendhal. Purtroppo per lei, viene però soccorsa dal ricercato maniaco, che la tortura e stupra. La giovane si vendica e ammazza atrocemente l'uomo, ma tempo dopo si ritrova ancora implicata in misteriose circostanze che ricordano il modo di agire del maniaco omicida.

 

La sindrome di Benigni: il cinema italiano (leggasi: l'Italia) ne soffre da sempre, è famigerato per il nepotismo e il familismo che lo affliggono fin dalla sua nascita, ma il caso esemplare e macroscopico, il favoritismo inspiegabile nei confronti di un parente (naturale o acquisito, poco conta: qua tutti teniamo famiglia) celeberrimo a livello mondiale, è senz'altro quello relativo a Nicoletta Braschi, inserita a forza nei film del marito Roberto Benigni e capace ogni volta di guastare tutto con un semplice movimento di sopracciglia. Ora, è noto come Dario Argento si sia potuto inserire a Cinecittà soltanto grazie al padre produttore Salvatore: ma le qualità artistiche del regista sono comunque indubbie; così come è fuori da ogni dubbio il fatto che la figlia Asia non sia portata in alcun modo per la recitazione, non sappia stare in scena neppure da ferma e abbia gravissimi problemi di pronuncia, peraltro mai risolti in tanti anni di frequentazioni di set. In un aggettivo: come attrice è irritante. Eppure, papà continua ad affidarle i ruoli centrali delle sue pellicole, che peraltro neppure sarebbero di per sè da disprezzare (vedasi il precedente Trauma, del 1993); La sindrome di Stendhal comunque rappresenta un passo indietro per il cinema argentiano da vari punti di vista. Tanto per cominciare: la psicologia dei personaggi, solitamente non ferrea nelle sue opere, ma per la quale qui si dovrebbe usare un occhio di riguardo dato il tema di fondo, vacilla continuamente; la sceneggiatura di Franco Ferrini e del regista (tratta da un romanzo di Graziella Magherini) non va troppo per il sottile e, specie nel finale, tratta la materia-psiche umana un tanto al chilo. Secondariamente non si può tralasciare la perplessità per gli effetti speciali digitali - fortunatamente pochi - che, forse all'avanguardia nel 1996, ma poverissimi oggi, rendono involontariamente ridicole le sequenze cui vengono applicati. Paolo Bonacelli, Marco Leonardi, Thomas Kretschmann gli altri intepreti principali; un fiasco clamoroso anche la colonna sonora (a tratti davvero kitsch), quantomeno dato l'autore: Ennio Morricone. 2,5/10.

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