Regia di Dario Argento vedi scheda film
“La sindrome di Stendhal” è una singolare sintomatologia che causa la perdita di coscienza al cospetto d'opere d’arte suggestive, ma anche l'omonimo lungometraggio di Dario Argento: un prodotto tedioso, e completamente esente di quel lugubre quanto intrigante magnetismo che caratterizzava i lavori del buon Dario. Forse il peccato capitale che ha portato a livelli così bassi è stata la scelta di affidare il ruolo principale ad Asia. Il “tocco d’Argento” c’è e si sente. La tensione è torreggiante (almeno nel primo tempo), il gioco di luci sui volti dei performer mette i brividi (non come nei vecchi film del medesimo artista comunque), il sangue scorre a fiumi, e ciò nonostante la messa in scena questa volta sembra carente. Probabilmente consapevole dei limiti recitativi della figlia (non sempre in grado di proporre una prestazione convincente), il regista decide di concederle la copertura del doppiaggio; le conseguenze sono imbarazzanti e la desincronizzazione del labiale (inaccettabile per una produzione italiana), nonché l’espressività completamente scoordinata fanno il resto. I comprimari, che risentono dell’identico problema, danno l'impressione d'essere figure evanescenti, fuori parte e contesto, e le loro entrate assomigliano palesemente a dei riempitivi di una sceneggiatura a dir poco scarna. La protagonista, agente di polizia (eh già…) soggetta ad uno sdoppiamento di personalità allarmante, malgrado dovrebbe identificare un sadico omicida (come si potrebbe mai commissionare un caso del genere ad una tizia così?!) ha atteggiamenti e reazioni alquanto inverosimili. Lo spettacolo visivo risulta un’esperienza sfiancante (e logorroica) vissuta in un clima di astio e sequenziale disaffezione. Gli effetti in computer grafica non erano da buttare (per il tempo loro), benché non si apprestavano a potenziare le connotazioni rivelative/simboliche. Il prodotto finale appare indigesto e lascia tanto amaro in bocca sia nella scrittura che nella sostanza. Una toppata da dimenticare insomma, sotto pressochè tutti i punti di vista.
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