Regia di Dario Argento vedi scheda film
Forse è proprio iniziata con 'La sindrome di Stendhal' la parabola discendente di Dario Argento, con i titoli successivi talmente massacrati dalla maggioranza di critica e spettatori che ho sempre evitato, sinora, di vedere.
Lo sconcerto di fronte a tale opera poi è acuito dalla casualità di aver rivisto invece i suoi primi lavori ('L'uccello dalle piume di cristallo', '4 mosche di velluto grigio' e 'Profondo rosso') a pochi giorni di distanza da questo infelice risultato: sceneggiatura assai sconclusionata, assenza quasi totale di tensione e suspence e un livello di recitazione - Bonacelli e Diberti esclusi - a dir poco sconcertante, specie della protagonista, figlia dell'autore romano e di Daria Nicolodi, Asia, non certo alle prime armi (aveva al momento già dieci anni di carriera alle sue spalle con risultati non spregevoli come 'Palombella rossa' di Nanni Moretti e 'Perdiamoci di vista') ma qui particolarmente a disagio nel ruolo in cui 'subisce' lo sdoppiamento della personalità, un simil Norman Bates de noantri, malamente scritto e ancor peggio 'presa per mano' dal padre.
Tornando allo script, anche se tutto nasce da un 'Trauma' che colpisce la protagonista, come in quasi tutti i suoi film, dopo uno spunto interessante - con le solite 'licenze poetiche' dato che il dipinto 'Caduta di Icaro' di Peter Bruegel il Vecchio si trova a Bruxelles e non agli Uffizi - la vicenda va da tutt'altra parte con conseguenze nefaste a livello filmico: ai tempi Argento compensava i buchi e le incongruenze presenti nelle sue storie con sapienti movimenti di macchina (uso di soggettive, zoomate) e una costruzione accuratissima di ogni singola sequenza, dalla quale il suo tocco era ben riconoscibile.
Ne 'La sindrome di Stendhal', al contrario tutto appare improvvisato come nelle peggiori serie thriller televisive.
Insignificante l'apporto di Ennio Morricone.
Voto: 4.
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