Regia di Enzo G. Castellari vedi scheda film
Semanticamente goticheggiante, ma non eccessiavamente, il "Johnny Hamlet" di Castellari gioca sulle inquietudini interne del protagonista Andrea Giordana e le riporta esterne attraverso inquadrature, montaggio e pro-filmico spiccatamente "altro", strano per un western (anche se non troppo fuori norma per uno Spaghetti-Western). Non c'è tantissimo ritmo, ma è infatti una storia di fantasmi che ritornano a chiedere giustizia seminando dubbi e insinuazioni nelle menti deboli dei protagonisti. Ma è anche un western, e se il western è movimento, da cui poi la celebre frase di Bazin "il Western è Cinema", forse ci si sarebbe dovuti inoltrare di più nella sintassi western che nel gioco iconografico, comunque ben reso ed efficace.
La storia è quella di Johnny Hamilton che torna a casa e trova il padre morto e lo zio, il di lui fratello, marito di sua madre. Da qui poi tutto è simile all'Amleto scespiriano, senza picchi di gran classe, ma nemmeno senza infamie. Tant'è che le scene "cimiteriali" sono tra le migliori di quelle specificamente gotiche dei western che al gotico si sono votati, come Margheriti. Anche la croce, con il protagonista crocifisso e la madre ai suoi piedi, ricorda l'episodio cristiano con il quale si parallelizza e confronta la figura di Gesù con quella dell'Amleto. Qui si aprirebbero scenari intricati, ma basterebbe riflettere sulla follia, o presunta tale, che emerge da entrambi, il loro lucido sacrificio per il Padre, ad ammettere non pochi legami tra due delle figure più influenti del pensiero umano. Castellari, artigiano di razza, fa un bel western che ha il suo tallone d'Achille nei ruoli poco azzeccati. Giordana è ok, giovincello e da sceneggiato, all'epoca era forse la scelta migliore, ma Gilbert Roland forse avrebbe fatto meglio nei panni dello zio Claude, e certi altri personaggi si vede che vengono immessi nel racconto western solo perchè di derivazione amletica.
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