Regia di Ettore Scola vedi scheda film
Un industriale, in trasferta svizzera per depositare una somma di denaro, trova il suo angelo vendicatore in una misteriosa motociclista vestita di nero: per seguirla va a finire in un castello dove quattro magistrati in pensione amministrano una sorta di giustizia parallela, processando chi per vari motivi era riuscito a farla franca. Sordi fa il solito borghesuccio dalla coscienza sporca, e nei primi anni ’70 è ormai diventato stucchevole: la sua interpretazione buffonesca, che stride in un contesto da commedia nera, è la principale nota negativa. Inoltre la parte centrale indugia troppo nel ricostruire i trascorsi dell’imputato, già abbastanza intuibili dall’inizio, e lascia che la tensione si allenti. Invece il finale è azzeccato (forse anche più di quello del racconto di Dürrenmatt da cui il film è tratto): schiva l’esito rassicurante verso cui la storia sembrava avviarsi e fa sì che il protagonista, non pentito né redento, trovi comunque la sua punizione. Mentre in fondo i vecchietti, con tutta la loro seriosità, si limitano a giocare (un gioco del resto non disinteressato, a giudicare dall’entità dell’onorario con cui si fanno pagare le loro recite), la silenziosa Janet Agren rappresenta un’istanza superiore a cui non si può sfuggire (Dio? il caso? il destino?).
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