Regia di Roman Polanski vedi scheda film
Luna di fiele è un film che affonda la sua lama tagliente sull’ipocrisia borghese, su un mondo oramai alla deriva, ossessionato esclusivamente dalla tentazione trasgressiva, proprio attraverso la parvenza di una dignità coniugale. Abbiamo una coppia inglese al settimo anno (Nigel e Fiona) che decide di fare un viaggio in crociera fino a Istanbul per poi dirigersi in India e un’altra coppia, Oscar e Mimì, tutta particolare, lei parigina fascinosa e ballerina, lui, americano ma domiciliato a Parigi, ex scrittore fallito, condannato alla sedia a ruote (su questa condizione di Oscar inutile dire i riflessi biografici di Polanski).
Durante il tragitto, Oscar nota una certa attenzione di Nigel verso la propria moglie perciò gli si presenta l’occasione di intrattenerlo affinché ascolti tutte le sue traversie amorose vissute con Mimì. Si hanno dunque lunghi flash back su come è iniziato il rapporto tra Oscar con Mimì. Un amore esplosivo, il raggiungimento della liberazione da tutti i vincoli della grigia quotidianità. Basti solo pensare come il paralitico Oscar, tutto estasiato racconta al conturbato Nigel i suoi godimenti sessuali con Mimì: “La sua fica era una fessura piccola e stretta, ma appena la belva che vi si nascondeva si svegliava sotto le mie carezze, si gonfiava, aprendosi nella cortina setosa che le copriva il pube, diventando un fiore carnivoro, come la bocca di un bambino che mi risucchiava avidamente il dito; mi piaceva stuzzicarle il clitoride con la punta della lingua e poi lasciarlo là, lucido e umido, come un anatroccolo immerso in una pozza di carne rosa…”
Già questa sola descrizione, sia detto tra parentesi, è proprio un groviglio analitico, perché racchiude in sé il capovolgimento che ci sarà in questa intensa relazione: la donna diventerà per Oscar/Polanski una figura carnivora mentre lui farà la fine dell’anatroccolo, inchiodato a una carrozzina.
Chiaramente il conturbato Nigel lì per lì si ribella a queste descrizioni così dettagliate ma intanto resta al gioco, lacerato com’è tra la morale convenzionale di fedeltà coniugale e il desiderio sempre più avvolgente di scoprire tutto su Mimì, sulla donna di Oscar, che gli si rivela sempre più in una fatale attrazione da cui non può più prescindere, nonostante la contrarietà della sua convenzionale morale. Il gioco è fatto; Nigel sarà sempre più irretito nell’attrazione, in un gioco perverso, di infedeltà verso Fiona. Non mancano infatti momenti in cui si incontra con Mimì, la quale lo seduce a tratti, e gli lascia intendere che sarà sua solo quando avrà sentito tutto della storia sentimentale che ha da raccontargli ancora Oscar. E così, di seduta in seduta, Nigel viene a sapere tutta la storia rocambolesca di Oscar e Mimi: un amore che in una prima fase raggiunge l’apice, ma poi diventa morboso, Mimì diventando sempre più dipendente da Oscar, perdendo persino le sue qualità estetiche.
Nella storia narrata, Oscar dopo diversi tentativi si separa da Mimì che oltretutto aveva anche abortito, e finalmente riprende la sua vita da bohémien parigino (anche se americano), scambiando il giorno con la notte, vivendo in una sensuale superficialità nella quale qualunque donna che incontra ha impresso il volto della donna seguente, in un giro senza più fine, che terminerà quando sarà investito da una macchina.
In ospedale verrà a trovarlo Mimì, che nel frattempo ha passato due anni da sola, e l’aborto le è costata la fertilità. In lei c’è solo più odio, e approfittando delle condizioni di Oscar lo scaraventa giù dal letto dell’ospedale riducendolo allo stato di paralitico. Ma le cose non finiscono qui: ora Mimì diventerà la sua infermiera e assistente, riversando su di lui tutto l’odio che aveva subito. Eppure è un odio che la tiene legata a Oscar, e tra l’altro Oscar, per motivi di assistenza e sensi di colpa, non può più fare a meno di lei. Diventano così indispensabili l’uno all’altra, e mentre lei può farsi tutti gli uomini che vuole lui si accontenta, almeno, di esserne il supervisore e l’espiatore.
Narrata la storia, Oscar a questo punto si rivolge a Nigel dicendogli che oramai può approfittare di Mimì con il suo beneplacito. Ma le cose non vanno come devono andare perché, nonostante le promesse fatte in un precedente incontro, Mimì non gli si concede, lo sfiora soltanto con le labbra per poi rivolgere l’attenzione alla moglie di Nigel, Fiona, la quale, stanca del sospetto di infedeltà del marito ma come il marito in contraddizione con la propria morale convenzionale, riserva per sé le attenzioni di Mimì e se ne vanno insieme a consumare una notte d’amore, lasciando interdetto Nigel ma rendendo finalmente libero Oscar di uccidere Mimì e se stesso. La coppia inglese, dopo questo duro colpo, ritorna alla sua parvente normalità, ma finalmente marchiata per sempre, non più protetta da una falsa innocenza.
Questo film, che a tratti è sopra le righe, può essere quasi letto come un manifesto dell’esistenza travagliata del regista, che con sapiente stile mette in moto i meccanismi della gelosia, dell’invidia, della morbosità, del senso di colpa, del disordine borghese in generale. E tutto ciò non solo con dialoghi fitti, ma anche attraverso i labirinti claustrofobici della nave, le cabine come rifugio e espiazione, con una nave che festeggia il nuovo anno allo sbando nel mare. Un’opera d’arte di crudeltà, che raggiunge a tratti lo stile di Bunuel, il cui inferno magmatico di bellezza è tutto espresso nella grande performance di Emmanuelle Seigner/Mimì.
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