Regia di Joel Coen vedi scheda film
Barton Fink (John Turturro) è un giovane commediografo che ha avuto un discreto successo con una pièce teatrale fatta con attori non professinisti. Viene contattato da Jack Lipnick (Michaal Lerner), capo di una major, per scrivere la sceneggiatura di un film sul Wrestling. Arrivato nel dorato mondo di Holliwood, Barton Fink prende una camera in un fatiscente albergo di infima categoria, con pareti sottilissime e tappezzeria scollata dalle pareti. Qui fa amicizia con il loquace Charlie Meadows (John Goodman), un assicuratore suo vicino di camera. Non riesce a concentrarsi a dovere in quel luogo ed ha un blocco creativo che cerca di superare facendosi aiutare da Audrey (Judy Davis), la segretaria personale del grande scrittore W.P.Mayhew (John Mahoney) ormai perdutamente alcolizzato. I due vanno a letto insieme, ma la mattina dopo Barton se la ritrova morta al suo fianco. Accorre Charlie che prima fa scomparire il cadavere e poi si allontana dalla città.
"Barton Fink" (Palma d'oro a Cannes, premio per la miglior regia e miglior attore a John Turturro) è un film sul cinema : sulle derive volgarmente egemoniche del sistema produttivo holliwoodiano, e sulla questione insoluta tra il cinema come piena aderenza alla realtà, e la realtà come fonte imprescindibile di un'idea di cinema filtrata attraverso l'immaginifica sensibilità dell'artista. Con l'ironia di sempre e la solita contaminazione dei generi, i fratelli Coen equilibrano le pretese di realismo del protagonista con la rappresentazione delle vicende tragiche che gli accadono giungendo a delineare con ottima resa filmica l'assurdo travaglio "spirituale" di uno scrittore in cerca di un comodo posto al sole : ammiccando Kafka e il grande cinema della "tradizione" hollywoodiana. Barton Fink è un assertore convinto del "teatro realistico", fatto di storie prese dalla strada e interpretato da persone comuni, impelagate con le cose di tutti i giorni. Parla con Charlie di questo fatto e si infervora pure quando si lamenta della radicale dissociazione tra l'arte e la vita reale e del fatto che non viene dato il giusto valore letterario alle ordinarie faccende quotidiane. Per Barton Fink l'esercizio della scrittura è un fatto doloroso perchè significa concepire qualcosa di veramente utile per il prossimo nonchè caricarsi di tutte le sofferenze del mondo. Charlie lo ascolta rapito e gli offre tutta la sua disponibilità, "ne avrei di storie da raccontare", dice, ma Barton Fink non lo ascolta, non presta attenzione alle sue esortazioni, anzi, in aperto contrasto con quello che asserisce, tende ad isolarsi, per trovare le giuste parole alla sua idea di realtà, per ricacciare fuori i rumori della vita che bussano ripetutamente alla sua porta. Non riesce ad accendere la sua creatività in quella stanza d'albergo, in cui "sembra si riesca a sentire tutto quello che succede". Ormai è succube di quell'ambiente che, come suggerisce Roberto Escobar, sembra essere "un enorme orecchio, un orecchio malato", che assorbe ogni rumore per restituirne un'essenza delirante, capace di accrescere la sensazione di disturbo annidata dentro le pareti e lungo i corridoi di quella topaia d'albergo. Un ambiente che compromette l'equilibrio solito di Barton Fink, ne mette in discusione lo schema "letterario", ma gli consente anche di vivere e raccontare un'esperienza ai confini della realtà. Nella sua camera c'è un dipinto che subito cattura la sua attenzione, ritrae una donna di spalle adagiata sulla sabbia intenta a guardare il mare. Nel finale del film, Barton Fink si ritrova su una spiggia, ha con sè la sceneggiatura che ha scritto in un impeto di repentina creatività e una scatola chiusa lasciatagli da Charlie il cui preciso contenuto neanche lui conosce, lo si può solo immaginare. Sulla spiaggia incontra una ragazza che ad un certo punto, dopo aver scambiato due parole, si adagia sulla sabbia e assume le identiche fattezze del dipinto. Rimane esterefatto. L'immaginazione ha preso il sopravvento sulla semplice rappresentazione descrittiva della realtà, Barton Fink ha conosciuto il fuoco sacro della creazione, quella che può condurre all'estasi poetica, a raccontare in maniera sublime l'immaginifica plausibilità della vita. Sulla sua pelle ha pagato la pretesa di voler raccontare la vita reale senza mettersi ad ascoltarne i rumori di sottofondo. Così, probabilmente, riscatterà se stesso, affrancandosi dalla volgarità mercantile di chi ne vorrebbe fare uno scrittore d'intrattenimento e vincendo quella presunzione che non ha saputo fargli ascoltare in tempo le "voci di dentro". Grande film.
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