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Seven

Regia di David Fincher vedi scheda film

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La recensione su Seven

di scandoniano
9 stelle

Uno dei thriller più sorprendente degli anni ’90. Uno di quelli da consigliare ad un amico per una serata sul divano senza timore di prendersi gli improperi. Tra i finali più sorprendenti che si possano immaginare.

Seven” è certamente uno dei migliori thriller degli anni ’90, tra i migliori thriller  di sempre. Il riconoscimento si deve ad uno stile inimitabile che il giovane regista David Fincher, che ci aveva già regalato “Fight club”, riesce ad imprimere alla pellicola. Gli elementi di base, tutti studiati e messi insieme con grande maestria (follia, religione, sadismo, solita coppia di poliziotti agli antipodi) scava nel cinema di genere, prendendo a piene mani dall’immaginario collettivo di ogni ideale film thriller. Il mix è talmente ben fatto, e supportato da grandi attori, molti di questi in stato di grazia, che ne viene fuori un piccolo capolavoro, un film di sicura affidabilità, il classico film da pop corn e divano, una sera qualsiasi della propria vita. Perché “Seven” va visto almeno una volta nella vita. Considerati i sottotesti e la dovizia di particolari l’ideale sarebbe rivederlo più volte. Alla prima visione incanta, con la sua fotografia sporca, la pioggia incessante, il torbido riproporsi di concetti danteschi tradotti in efferati omicidi dalla genesi spaventosa e dalla messa in scena meticolosa, l’immancabile mix tra poliziotti agli antipodi, e soprattutto quel profondo alone di mistero al cospetto dell’inafferrabile John Doe (nome che si rivela una scelta banale, tuttavia l’unica, di un film che ha una prevedibilità ridotta ai minimi storici). Le visioni successive sono necessarie per soffermarsi sui dettagli degli efferati omicidi del protagonista occulto, quel Kevin Spacey (sì sempre lui, Caparezza docet), improvvisamente proclamato icona dell’America più sudicia. Un personaggio che ricorda per certi versi il Kaiser Soze de “I soliti sospetti”, inafferrabile, apparentemente fragile, che cova l’odio atavico dei serial killer più incalliti, che dispensa morte con forza stentorea e calma serafica allo stesso tempo. Un personaggio talmente ben costruito, ed un attore talmente idolatrato, da suggerire un piccolo escamotage: inutile cercare nei titoli di testa il nome di Kevin Spacey; per aumentare la sorpresa nello spettatore, su suggerimento (pare) dello stesso attore, si è volontariamente omesso il suo nome nel cast riportato nei titoli iniziali (con conseguente crescita del mito dell’attore e dello stesso protagonista).

Fotografia e montaggio da Oscar, sceneggiatura su livelli solo leggermente inferiori. Un thriller che consiglieresti al tuo migliore amico. Che probabilmente ti ringrazierà a lungo.

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