Regia di David Fincher vedi scheda film
I titoli di testa sono tra i più inquietanti mai visti al cinema,anticipatori di un orrore sordido e pronto a imporsi.Sette giorni,sette morti,sette peccati, in una città cupa,piovosa e senza possibilità d'identificazione(sapremo solo che non è nel Nord degli Stati Uniti).Uno dei thriller di maggiore impatto degli anni Novanta,una sconsolata presa d'atto dell'ineluttabilità del Male,giostrata come si deve da un David Fincher poi mai più così bravo,che sfrutta molto bene la densa sceneggiatura di Andrew Kevin Walker.Stupendo Morgan Freeman (la sua solitudine è tangibile mentre legge nella Biblioteca della polizia,sulle note di "Aria sulla quarta corda" di J.S.Bach),detective elegante e pessimista,spesso fuori fuoco Brad Pitt,troppo gesticolante e superficiale nel rendere il suo personaggio.Finale atroce,con un'affermazione dei giochi di una mente malvagia e perversa,che trova nella realizzazione del suo disegno demente una vittoria assoluta,a costo della vita.Un film che sa far male.
Una pioggia incessante scroscia su una città americana di cui non sapremo mai il nome,ed un folle in sette giorni vi dipana la sua missione delittuosa,portando alla morte sette persone che simboleggiano,secondo lui,i peccati capitali:due detectives agli opposti per carattere,fisionomia,metodi,motivazioni,vengono messi insieme per fermarlo. Uno è nero,colto,alle soglie della fine dei suoi giorni lavorativi,malinconico ed ironico assieme,solitario,mentre l'altro è appena giunto al dipartimento,è sposato,irruento e istintivo,senza gran sapere addosso:una cena organizzata dalla giovane moglie del secondo smusserà certi spigoli emersi nella collaborazione tra i due,e lascia trapelare cose personali l'un verso l'altro. Il modus operandi di un assassino che cita opere classiche come sfida agli inquirenti prevede modi coercitivi per far passare all'altro mondo le proprie vittime:tutto "Seven" è attraversato da una maiuscola inquietudine che si fa malessere prima del finale,ove sfocia in tragedia vera e propria. Venuto dai brividi siderali del terzo "Alien",David Fincher realizzò il suo film fin qui migliore dandogli le oscurità di una graphic novel cupa, in una spirale di ineluttabile corsa verso una rivelazione finale che non manderà a casa tranquillo il pubblico,anzi ferendo ogni sua residua speranza in una nota di positività in una visione delle cose del mondo disperata. C'è una caccia all'uomo non frenetica,perchè se pur il tempo incalza,il film ha un passo meditativo,fino ad un certo punto,però prende lo spettatore tenendolo sulla corda sulla prossima mossa del killer e sul come i due detectives riescano a mantenersi sulle sue tracce,provando a capire quale sia il sistema per identificarlo e fermarlo. Ad un certo punto i due sono ad un soffio dal prenderlo,ma l'aggressiva carica del più giovane giocherà a loro sfavore,portandolo addirittura a farsi da cacciatore preda per scarsa lucidità,rimanendo misteriosamente risparmiato dall'assassino. E qui il film inganna lo spettatore,che dirà a se stesso che il personaggio di Pitt non è stato ucciso perchè non rappresenta un obbiettivo del pazzo omicida:invece,come sa chi ha visionato la pellicola,lo è eccome,ma non è ancora il suo momento,la sua pianificazione delle cose non gli permette una variazione simile.Il più anziano dei due invece va in biblioteca per afferrare i rimandi a testi classici,assorbe dati,pondera accompagnato dalla musica di Bach,è superiore alle risatine di scherno dei colleghi che non lo vedono di buon occhio.E' un uomo che ha una visione non bella della realtà,perchè ha rinunciato ad avere figli per non farli vivere in un mondo che reputa pericoloso e impietoso.A ben vedere,l'accoppiata è una contrapposizione tra due visioni della Vita,due modi di essere Uomo oggi,due approcci alle cose differenti.Nella plumbea luce che accompagna i quattro quinti di pellicola,dopo che il colpevole si è degnato di venire egli stesso allo scoperto,fornendo un nome fittizio (John Doe,per gli americani equivale a N.N.)e giungendo al comando di polizia lordo di sangue,dando come unica condizione di essere accompagnato in un luogo specifico dai due uomini che lo hanno perseguito e quasi fermato.Il gioco è pericoloso,ma nella logica filmica lo psicopatico viene accontentato.E si passa alla giallastra dimensione di un deserto punteggiato di tralicci,ove si svolgerà la parte conclusiva della storia e dell'indagine:e sarà annichilente.Perchè nell'assunto di un thriller che lascia fuori dalle immagini la violenza vera e propria,e ne mostra solo le assurde conseguenze,quel che fa paura davvero è quella scena tenerissima in cui il giovane investigatore abbraccia senza sapere che sarà l'ultima volta la sua amata moglie,stringendola a sè,unico moto di umana ribellione contro la voracità crudele di un mondo dimentico della Pietà,incurante dell'Amore,impaurito fino a lasciarsi vivere senza prospettive.Quel "Ti amo tanto" sussurrato a quel corpo stretto in un abbraccio,come si fa con chi ci è prezioso e pure indispensabile,suona di una toccante e residua stima dell'importanza dei sentimenti in un panorama riflesso in quel deserto mortuario. E la tirata filosofeggiante del killer nella macchina che accompagna i tre personaggi verso quel crocevia del Destino perde ogni importanza di fronte al dilemma atroce che scuote quel poliziotto in giacca di pelle,che paradossalmente impugna un'arma mortale,e quindi ha un Potere assoluto,quello di togliere la vita ad un'altra persona:lo sceneggiatore Webb Peoples ed il regista Fincher optano per una conclusione al nero,e lasciano che l'indice di Mills/Pitt prema il grilletto sull'onda di un dolore inespugnabile,dopo aver appreso che tutto ciò che amava gli è stato strappato con violenza. Un film addirittura lancinante,anche per chi è garantista come il sottoscritto.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta