Regia di Henri-Georges Clouzot vedi scheda film
“Les diaboliques” è l’ennesima limacciosa indagine del male firmata da Clouzot, qui ancora più brumoso e pessimista. Un torbido thriller che, deviando i melodrammi, accelera il flusso di una storia corrotta di tradimenti e vendette. L’innocenza dei personaggi viene troncata dalle immagini iniziali, e lo spaccato presentato dall’autore non risparmia dalle più controverse reità né le due protagoniste Nicole e Christina (le attraenti Vera Clouzot e Simone Signoret), artefici di un delitto messo a punto a danno del marito/amante (Paul Meurisse) che in passato si sono divise, né gli elementi che si aggirano attorno alle loro empietà, comprendente difatti sagome apparentemente serafiche, come gli alunni della prestigiosa scuola elementare dove le due omicide lavorano da anni in qualità di insegnanti. La suspense sposta la tensione della complice più fragile Christine Delasalle dalla vasca da bagno contenente il corpo dagli occhi cerei del cadavere alla piscina del cortile dell’istituto; ed è proprio in questo secondo luogo del misfatto che il regista configura i turbamenti, le ansie ed il nitido terrore dell’ex coniuge. Congeniale ad esporre gli sgomenti di Christine è infatti la scena che la vede impegnata e totalmente concentrata in una lezione di matematica, mentre dalla finestra della classe scruta il bidello notare qualcosa di strano emergere dalla grande bagnarola... l'ansia dello spettatore sale alle stelle fino alla stacco successivo: nel contempo Christine comincia ad alimentare dei rincrescimenti, i quali di sicuro non potranno essere emendati dalla mera soluzione di far ricorso a quell'area di stasi e placidità che cela le sue abiezioni e i suoi crimini. La crudeltà mefistofelica che caratterizza l’opera viene impersonata scrupolosamente dal triangolo Clouzot/Signoret/Meurisse, dando comunque spazio a qualche verbosità nei dialoghi, a tratti pletorici ma mai fuori contesto. Funziona piuttosto bene però l'alchimia tra la Clouzot e la Signoret, quest'ultima rappresentata come una "rara" Marilyn Monroe in nero cupa e velenifera, adeguatamente posta, anche metonimicamente, con la prima, tanto da incarnare entrambe, in una conturbante allusione recondita, due poli di uno stesso emisfero istintivamente passionale. Una lode va altresì a Charles Vanel, che, nei panni del Commissario Alfred Fichet, fonde abilmente imprevedibilità con uno strato allettante di biliosa ironia. Il film non sarà sconvolgente come una volta, ma si certifica tutt'oggi un classico del noir made in Europe. Sicuramente da vedere se amate il genere.
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