Regia di Pupi Avati vedi scheda film
Ritratto di un personaggio che si muove nel sottobosco del calcio professionistico di periferia, che fa venire alla mente, per metodi e comportamenti, un dirigente a metà tra Ramaccioni (storico team manager del Milan) e Luciano Moggi, colto tuttavia in un momento di passaggio, dove le società calcistiche non sono più quelle del Presidente del Borgorosso e non sono ancora quelle dei laboratori ipertecnologici per la preparazione fisica. Descrivere in un’ora e mezza di pellicola le dinamiche che si creano in una squadra di calcio di Serie A durante un campionato è, secondo me, una delle cose più difficili che si possano tentare, soprattutto nei confronti dello smaliziato spettatore medio italiano, che del suo sport preferito sa vita morte e miracoli e che da sempre mal digerisce l’atmosfera d’ingenuo ottimismo che circonda i film sportivi americani su discipline enigmatiche come il baseball. In questo senso, si può dire, quanto meno, che Pupi Avati “ci ha provato”. E almeno parzialmente ce l’ha fatta, soprattutto grazie a un’interpretazione intensa di Ugo Tognazzi. Solo parzialmente s’intuisce l’ipocrisia che circonda un mondo da sempre preda di avventurieri di ogni risma (basta leggersi i libri dell’ex calciatore Carlo Petrini), che poi si uniforma nelle frasi fatte pronunciate in maniera standardizzata da quasi tutti i protagonisti davanti ai microfoni delle televisioni. Ma un’ora e mezza non è sufficiente per un’operazione del genere. Forse bisognerà aspettare almeno la fine del processo alla cosiddetta Calciopoli, per potersi aspettare qualcosa di nuovo. E comunque servirebbe almeno una serie a puntate. 6½
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