Regia di Mel Gibson vedi scheda film
Un buon kolossal, epico quanto vuoi, che ha nelle cruente scene di battaglia il suo forte, ma secondo me costruito e calcolato per puntare all’oscar, mancando quindi di genuinità: forse immeritata la statuetta al miglior film. Rivisto oggi non rende il pathos di allora scorre abbastanza Voto 7 – – ma che interesse aveva Mel nei riguardi di Wallace?
Bravehart
Si, “Bravehart”, perché da quando cuore in inglese è diventato “Heart”? Ho studiato inglese fin da bambino e si è sempre scritto “Hart”.
Chissà, forse un’inflessione scozzese a cui in quasi trent’anni non avevo mai fatto caso?
D'ogni modo... mi son sempre chiesto cosa potesse interessare questo mistico personaggio, William Wallace, ad un attore – e regista – di nascita australiano: non ho mai sentito dire che Gibson sia di origine scozzesi; va bè, poco m’importa, di sicuro voi conoscerete il motivo.
Altri dubbi mi sorgono sull’effettivo valore cinematografico della pellicola.
Un film costruito ad hoc per puntare all’oscar – e così fu – ma che, per questo, risulta poco genuino – e neanche troppo veritiero, date le diverse imperfezioni storiografiche a cui Gibson addusse motivazioni dovute al render più filmico, più epico, il suo personaggio.
Questo lo avevo letto sulla vs rivista ai tempi.
Di certo, sul piano puramente biografico, storico, da un punto di vista dell’onestà intellettuale, e pure di quella genuinità dell’opera di cui sopra, non può reggere il confronto con altri kolossal che all’oscar ci sono arrivati un po’ per caso; anzi, all’ambita accoppiata miglior regia/film: il primo che mi viene in mente è “Balla coi lupi”, forse il caso più eclatante: nell’America razzista del clan Bush, chi poteva immaginare che un film dove si racconta di un coscienzioso ufficiale dell’unione, uno “yankee”, un soldato “blu” che diserta per divenire “un pellerossa” potesse fare incetta di Oscar?
O piuttosto, il “crepuscolare” western intimista – genere ormai in disarmo – avente un vecchio ubriacone, un antieroe come protagonista, pur li, non per difendere, ma giusto vendicare “uno sporco negro”, potesse solo ambire all’agognata, all’ambitissima (scusate ma rende meglio) “doppietta di statuette”? La quale consegna un artista alla gloria e fama eterna. Anzi, in quel caso, fu tripletta: artistica più un oscar tecnico per il montaggio.
Più senso ebbe l'altro, intensissimo e davvero toccante opera superba del magistrale Clint Eastwood (perché era di lui che stavo parlando) che solo a pensarlo ancora mi commuove, la drammatica vicenda della coriacea Mokuscha, la ben dosata Hillary Swank di “Million dollar Baby” – e quello fece addirittura poker.
No, questo no.
“Braveheart” mi risulta troppo furbo, artefatto, a partire già dal titolo.
Certo, non essendo io il manicheo (ne manicheista) che mi si imputa, ne riconosco l’esaltante enfasi epica, banditesca, picaresca quasi... per divenir poi cavalleresca; nonché il suo messaggio – lasciando stare il sentimento “nazionalista” (pericoloso oggi metterlo in mezzo, troppe recensioni qui tirano assurdamente in ballo la politica) di una nazione sovrana soggetta da secoli ad un’altra arrogante, imperialista, che un tempo governava praticamente il mondo intero – e oggi, di quell’impero, paghiamo noi lo scotto! Proprio noi che per colonie avevamo due trapezi ed un corno di sabbioso deserto.
Anche se wikipedia che sto consultando, mi suggerisce che il film , a detta degli esperti analisti, influenzò non poco la secessione della Scozia dalla dipendenza Inglese. Potrebbe anche esser vero. Di sicuro, ben ricordo durante i campionati europei di quell’anno, nel derby tutto britannico tra le nazionali di Scozia ed Inghilterra, la tifoseria scozzese esibire i cartonati inneggianti all’eroe nazionale, recanti l’effige di Mel Gibson nei suoi panni, mentre goliardicamente quanto audacemente, offrivano non solo i volti dipinti di blu, ma pur tanto di chiappe...alla tifoseria avversaria! Sulla quale la regia glissò subitamente. E lo stesso accadde due anni dopo ai mondiali di Francia ’98.
Di sicuro, il film si era insinuato nell’immaginario collettivo. E non solo scozzese.
persino “La Lega” di Salvini lo prese ad esempio, diversi anni dopo.
Ecco, intanto ho colmato la lacuna: Mel Gibson, di origine irlandese e inglese, americano di nascita, australiano di adozione, almeno dice wikipedia (strano, credevo, anzi, sempre saputo il contrario); e qui dice che alla famiglia, proprio grazie al trasferimento nella terra australe, riuscì di risparmiare a lui ed al fratello, la fatale chiamata in Vietnam: avrebbe significato dir “Addio a Hollywood” – e a sto punto, se fosse vero, quel suo film – troppo personale – sulla questione vietnamita, non saprei come giudicarlo: frutto del senso di colpa, o di un’indegna profittazione... per non parlare del suo ruolo più celebre, il mitico agente Riggs di “Arma letale” che, nella sceneggiatura sarebbe un reduce della guerra in Vietnam. Lo trovo piuttosto ed alquanto ipocrita. Ma del resto, cosa non si farebbe per milioni e milioni di bei dollaroni!).
Torniamo al film va... “che è meglio!” diceva sempre “puffo...” non ricordo...
ah ecco, “ Puffo Quattrocchi”!
Ho sempre trovato davvero assurda la celebre sequenza delle chiappe esibite ai nemici nella prima grande battaglia: mentre piovono frecce, quelli stanno li a far da bersaglio.
Scene di battaglia per altro maestose – ma pure truculente, realisticamente assai crude, cruente – e che sono forse la cosa migliore del film, o meglio, di quella che ne decretò il successo, seppur non rappresentino nulla di stilisticamente innovativo, anzi, girate in maniera piuttosto scolastica, insomma, niente di avveniristico, ma nemmeno computer grafica.
A queste, io aggiungerei le interpretazioni di alcuni protagonisti, non ultimo proprio il regista/attore qui solamente alla sua seconda prova dietro la macchina da presa. E direi che non se l’è cavata niente male.
Tra il resto del cast, quello che mi ha più colpito, che spicca su tutti, fino a prendersi la scena nell’ultima parte, nonché proprio la scena finale, è Angus Macfadyen, nei panni del principe di Scozia, il tormentato, coscienzioso “Robert Breuce”, succube della corona inglese fino all’ultimo quando, troppo tardivamente, fa ammenda, convertendosi alla ragion di stato, caricandosi sulle proprie spalle, finalmente, i destini del suo popolo... andando contro la memoria incombente del cauto, saggio padre, quel Re quale, sempre per la medesima ragione, soggiace all’usurpatore inglese e propende per vender l’impavido William agli Inglesi.
Altro ruolo breve ma intenso, è quello che vede impegnata una sempre bellissima Sophie Marceau, impegnata nelle eleganti vesta della principessa figlia del re di Francia, data, anzi, presa e costretta in sposa dal re d’Inghilterra, il Plantageneto, al proprio figlio, il principe Edoardo: carogna il padre, omosessuale il figlio – la bella principessa si innamora, ricambiata, del virile e fascinoso Wallace, fino a scongiurarne la cattura in un paio di occasioni.
Nel cast compaiono attori che guadagneranno poi la fama; tra i più noti il corpulento, ancora acerbo e rude Brendan Gleeson, il sempre corposo ma già affermato Brian Cox, il futuro cineasta Peter Mullan, meritevole nell’immediato futuro di un paio di ottimi lungometraggi di spicco nel crescente cinema d’autore Britannico (“mi chiamo Joe” e “Magdalene” su tutti).
Altro volto femminile di spicco è quello delicato quanto dolce, innamorato di Catherine McCormack, che di li a poco inizierà una certa carriera di tutto rispetto... ma ormai sono anni che non mi compare più.
Segue poi una lunga serie di caratteristi di rilievo: Michael Byrne, Ian Bannen, Tommy Flanaghan,(“il gladiatore”), Sandy Nelson, Alan Tall, Alun Armstrong, James Cosmo e lo stesso fratello del regista, Donal senza “d”.
L’opera di Gibson fu accusata di denigrare la compagine gay: oggi come oggi non si sarebbe potuto nemmeno “montare” con quelle scene – meno male allora... a quel tempo si poteva ancora.
E non è la prima volta che in un film viene riportato l'erede al trono in quale omosessuale: credo sia stato nel bellissimo “Elizabeth”?
Un po’ esagerata, forzata, l’enfatica scena finale, Gibson fa le prove per la successiva regia: “La passione di Cristo”.
La lunghezza che alcuni trovano eccessiva, non pesa poi tanto.
Un buon kolossal, epico quanto vuoi, che ha nelle cruente scene di battaglia il suo forte, ma secondo me costruito e calcolato per puntare all’oscar, manca di genuinità, forse immeritato il miglior film
Rivisto oggi non rende il pathos di allora
ma che interesse aveva Mel nei riguardi di Wallace? boh?!
Voto 7 – –
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