Regia di John Woo vedi scheda film
Sgangherato e confusionario, gratuitamente violento e fastidiosamente melodrammatico, con uno script che fa acqua da ogni parte, è una mera trovata commerciale abbozzata in fretta e furia al solo fine di capitalizzare ulteriormente il successo al botteghino del valido capostipite.
Si riparte da dove era finito il primo episodio: il fratello maggiore criminale redento Sung Tse-Ho (Ti Lung) sconta la sua pena detentiva, mentre il fratellino poliziotto Sung Tse-Kit (Leslie Cheung) è infiltrato tra le triadi, stavolta seducendo la figlia del boss Lung Sei, ovviamente all'insaputa della moglie. Ma le autorità non possono fare a meno della conoscenze maturate da Ho nella sua carriera criminale, quindi reclutano pure lui come infiltrato. Per riunire il terzetto di attori ecco che si ricorre ad un pigro espediente per recuperare anche Chow Yun Fat, il terzo protagonista del primo capitolo, il cui personaggio Mark moriva nell'epilogo: si inventano il gemello Ken emigrato in America.
Questo discutibile escamotage è sintomo dei mezzucci a cui ricorrono autori e produttori (ci sono ancora John Woo alla regia e Tsui Hark alla produzione) per lucrare sul successo esplosivo di A Better Tomorrow e sullo status di culto che il loro action noir aveva immediatamente conseguito tra il pubblico dell'Asia orientale, con il personaggio di Chow Yun Fat diventato icona di stile con i suoi occhiali scuri e impermeabile nero, per cui non poteva mancare per garantire incassi al sequel.
Purtroppo A Better Tomorrow II, nel riciclare la formula crolla miseramente su se stesso mancandogli il sostegno di uno script degno di questo nome. Una sceneggiatura confusionaria che fa acqua da tutte le parti appare un flebile pretesto un pretesto per infilare una sparatoria dietro l'altra. Alla violenza esasperata si accompagna una smodata propensione melodrammatica, per cui le stragi sanguinolente sono intervallate da irritanti piagnistei, elemento questo già presente in nuce nel primo episodio, ma in maniera più controllata e meglio inserita nell'impianto generale, tanto che non risultava fastidioso.
Questa tendenza risulta ancora più riprovevole perché nel contempo si butta via il pathos delle scene realmente drammatiche, come quando Ho è costretto per dimostrare la sua fedeltà ai gangster a sparare al fratello: lì invece, dove ci sarebbe da infondere un senso del tragico, è tutto ridotto a un nonnulla, con Ti Lung che fa una faccetta come se avesse perso l'ombrello.
La recitazione in generale lascia abbastanza a desiderare, raggiungendo il punto più basso nelle ridicole scene in cui un catatonico boss Lung Sei (Dean Shek) sembra ridotto ad una larva per aver visto una bambina morire tra le sue braccia.
Leggo che il regista John Woo e il produttore Tsui Hark hanno avuto delle divergenze durante la lavorazione , non sapendo accordarsi sulla versione definita da dare al film e probabilmente le scelte di montaggio figlie di questa discordia contribuiscono a sprofondare la pellicola in una sgangherata confusione.
Anche le sequenze finali della grande resa dei conti, esaltate da registi come Tarantino, mi sono sembrate solo eccessivamente splatter, magari ben coreografate ma povere della perizia registica di cui invece Woo aveva dato prova nel primo episodio, lasciandoci piuttosto l'interrogativo sul perché personaggi evidentemente crivellati da molteplici proiettili a distanza ravvicinata sembrano nella scena successiva aver riportato solo qualche graffio.
Inspiegabilmente considerato da molti non solo equivalente ma addirittura superiore al primo capitolo, mi pare invece si riduca ad una mera trovata commerciale abbozzata in fretta e furia al solo fine di capitalizzare ulteriormente il successo al botteghino del valido capostipite.
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