Regia di Bryan Singer vedi scheda film
Cult anni '90 che lancia Bryan Singer nell'olimpo hollywoodiano. Il regista newyorkese gira in modo piuttosto convenzionale, puntando tutto su una sceneggiatura (premiata con l'oscar) costruita su sfalsati piani narrativi dal fido Christopher McQuarrie e su un montaggio (di John Ottman) serrato che tiene sempre viva l'attenzione e che viene, giustamente, premiato con il premio BAFTA. Il film, un noir realizzato con una fortissima componente d'azione e un epilogo thrilling di particolare effetto, è costruito in virtù di una lunga serie di flashback innescati su un interrogatorio condotto dalla polizia, per far luce su una strage avvenuta, nel porto di Los Angeles, all'interno di una nave sospettata di trasportare droga. Prologo ed epilogo sono interconnessi tra loro e presentano, alla Rashomon di Kurosawa, una lieve diversità per via del diverso punto di vista da cui viene proposta la scena.
Oltre alla scelta narrativa, che non segue uno schema lineare ma gioca sui continui rimandi temporali, I Soliti Sospetti spicca per un cast artistico assai in palla. Gabriel Byrne è l'elemento carismatico, un ex poliziotto che capitana un gruppo di cinque banditi che si trovano, quasi per caso (ma non lo è affatto, facendo parte di una diabolica macchinazione), a mettere a segno una serie di colpi che li portano a cooperare con un misterioso individuo chiamato Keyser Soeze e che viene identificato nel diavolo. Di quest'ultimo personaggio viene mostrato, portato in scena, la narrazione di un avvenimento che mostra quanto lo stesso sia sprovvisto di sentimenti e dotato di una crudeltà che non si ferma al cospetto di donne e bambini. Singer monta la scena deformando le immagini, con uno stile che rimanda a Il Corvo di Proyas (uscito l'anno prima).
I cinque banditi, tra assalti, furti e regolamenti di conti dal retrogusto mafioso, si ritroveranno vittima di una manipolazione dallo spettacolare finale. Un epilogo, per come viene preparato, che sarà ripreso l'anno successivo da Gregory Hoblit per Schegge di Paura.
Stephen Baldwin è l'uomo d'azione, un po' nevrile e caciarone, ma anche abile mitragliatrice in mano. Kevin Spacey, che vincerà per la performance il suo primo premio Oscar, prende confidenza con i personaggi dai toni apatici e dagli atteggiamenti da pacati sfigati (mutuerà gli atteggiamenti, seppur impreziosendo l'interpretazione di una maggiore freddezza, per Seven). Lo vediamo sfilare trascinandosi su una gamba menomata, con fare da storpio, ma anche piagnucolare e atteggiarsi quasi da ritardato mentale.
Molto bravo poi Chazz Palminteri, nei panni del poliziotto violento che conduce l'interrogatorio da cui, a poco a poco, si dipana tutto il film, alla stregua di un nastro che si riavvolge su sé stesso al fine di ricostruire l'evento su cui si cerca di fare chiarezza.
Di qualità, soprattutto per le notturne, la fotografia di Newton T. Sigel (fedelissimo di Singer, ma futuro direttore della fotografia anche per Terry Gilliam, Robert Redford, George Clooney e Gregory Hoblit).
Dunque un grande film corale, premiato con due Oscar e con un introito superiore al quadruplo del budget investito (appena 6 milioni di dollari), così da aprire a Bryan Singer la via per le grandi produzioni che lo vedranno impegnato, tre anni dopo, nella trasposizione del racconto lungo di Stephen King intitolato Un Ragazzo Sveglio (inserito nell'antologia Stagioni Diverse) e soprattutto a diventare uno dei principali registi di pellicole con i super-eroi quali gli X-Men e Superman Returns.
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