Regia di Wong Kar-wai vedi scheda film
Altro flusso di pensieri per un Film di Wong Kar-wai 'vomitato' dopo una decisamente emozionante prima visione in sala.
Film scritto e diretto 'd'istinto' da Wong Kar-wai durante due mesi di pausa dal montaggio "Dung che sai duk" (Ashes of Time, distribuito qualche mese dopo questo), "Chung Hing sam lam", il cui titolo richiama l'edificio in cui crebbe il Regista, racconta due storie in cui dramma e commedia si mescolano collegandosi collegate da sentimenti d'amore.
Come nel successivo "Fa yeung nin wah", anche qui l'Amore viene trattato con modalità 'irreali' ma al contempo anti-hollywoodiane, negando in entrambe le storie una conclusione tradizionale (si lascia aperta la porta ad un 'live happily ever after' ma anche ad un superamento) e 'giocando' con gli stereotipi del sentimentalismo convenzionale, anche eticamente discutibili come lo stalkeraggio e l'ossessione, senza però sposarli realmente e, anzi, dando l'impressione (almeno al sottoscritto) che questi approcci non vengano mai idealizzati e, forse, ipotizzando anche che certi 'amori' siano 'semplici' infatuazioni passeggere. Anche se entrambe le storie sono accomunate dal fatto di avere per protagonisti maschili poliziotti (il primo chiamato He Qiwu e interpretato da Takeshi Kaneshiro, il secondo noto solo col numero 663 e interpretato dal grande Tony Leung Chiu-Wai) le cui voci narranti detengono la maggioranza del minutaggio rispetto alle due controparti femminili, sono queste in realtà a catturare realmente la scena. La prima, senza nome e interpretata da Brigitte Lin (circa vent'anni più matura del co-protagonista Kaneshiro), riprende (e auto-sovverte) il topos, volendo anche sessista, della femme fatale, con peculiare estetica composta da parrucca bionda, impermeabile e occhiali da sole; la seconda, di nome Faye come la sua attrice (la cantante Faye Wong) ribalta il tradizionale schema dell'uomo ossessionato che si intrufola nella vita della donna amata (forse a rischio di 'cancel culture' per qualche liberale/conservatore/reazionario) rendendo la donna, capelli corti e passione per la musica ("California Dreamin'") ma pure lei a volte con occhiali da sole, 'intrusa' nella vita dell'uomo. In tutti e due i racconti, nonostante come accennato sopra la narrazione sia diretta soprattutto dalle voci maschili, le parti più attive sono svolte dalle donne, nella prima storia ignorando praticamente in toto gli infantili interessi amorosi (nati da delusione) del giovane avendo la donna con la parrucca bionda problemi più gravosi (risolti egregiamente), mentre nel secondo 'episodio' la vicenda sentimentale viene gestita quasi interamente da Faye con una spensieratezza contagiosa che ben nasconde la problematicità del suo stalkeraggio intensivo.
Intanto chiudo qui questo mio flusso di pensieri 'interpretativi', temendo di essermi impantanato, e brevemente elenco qualche osservazione sullo Stile: oltre al montaggio gustosamente alternato che caratterizza internamente i due segmenti e al brillante utilizzo dei freeze-frames in situazioni concitate (con dinamismo quasi paradossalmente caricato dall'immobilizzazione delle linee di movimento), abbiamo una Fotografia straordinaria nei Colori curata dal fidato Christopher Doyle (che tra l'altro io conobbi per la prima volta in "Andoromedia" di Miike) e da Andrew Lau (che insieme ad Alan Mak dirigerà poi la straordinaria trilogia "Mou gaan dou", Infernal Affairs, ispiratrice dello scorsesiano "The Departed"), senza dimenticare il grandissimo apporto della Colonna Sonora e l'intenso lavoro svolto da tutto il Cast. Insomma, un altro Gioiellino, che non delude le mie speranze (fomentate anche dal suo essere mio 'coetaneo') e che rafforza il mio proposito di approfondire il Cinema di Wong Kar-wai partendo dalla rassegna in corso in una sala da me amata (dove ho recuperato la visione, in lingua originale, proprio dell'Opera in questione).
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