Regia di Wong Kar-wai vedi scheda film
Il primo capolavoro di Wong kar-wai. Due storie d'amore particolari e sfuggenti fanno da filo conduttore di questo film esemplare, tra sparatorie, riflessioni sullo scorrere del tempo, amori finiti e altri che stentano a iniziare, il tutto ambientato in una Hong Kong sempre più invivibile e sulle note di California Dreamin' dei Mamas and Papas.
Wong kar-wai è certamente uno dei registi orientali più famosi e apprezzati di sempre.
Nato a Shanghai ma attivo sulla scena di Hong Kong, Wong kar-wai è un regista particolare e complesso, autore di pellicole sempre molto ricercate dal punto di vista estetico e allo stesso tempo piuttosto semplici per quanto riguarda le storie raccontate, prevalentemente storie d'amore più o meno tormentate, poetiche, a tratti laceranti a tratti idilliache.
Quello che interessa a Wong è portare sullo schermo trame che vanno dritte al cuore dello spettatore, che non può far altro che innamorarsi del cinema di questo geniale autore, tanto semplice quanto complesso da descrivere.
Quello che è certo, però, è che Wong kar-wai ha una poetica riconoscibilissima, con dei punti forti del suo cinema che appaiono praticamente in tutti i suoi film: le già citate storie d'amore, spesso interconnesse più o meno labilmente all'interno della stessa opera; il tema del tempo e della sua percezione da parte dei protagonisti; storie portate avanti dal voice-over degli stessi protagonisti, che parlano da un futuro non precisato di un passato sempre scolpito nelle loro menti (date e orari inclusi); l'ossessione per i colori e per la loro saturazione.
E Hong Kong Express non fa differenza.
HONG KONG EXPRESS (1994) è il terzo film di Wong kar-wai (dopo gli ancora piuttosto acerbi As Tears go by e Days of being Wild), nonchè il primo a ricevere rinomanza internazionale e una distribuzione degna di questo nome anche negli USA, grazie soprattutto all'interessamento di Quentin Tarantino, sempre molto ricettivo nei confronti del cinema orientale (si pensi solo al suo rapporto speciale con Takashi Miike).
Nonostante sia facile pensare il contrario - visto il livello di perfezione raggiunto in molti punti - Hong Kong Express non è tanto più che un film improvvisato, basato su personaggi che all'inizio delle riprese risultavano appena abbozzati e su una sceneggiatura conclusa solo a lavori in corso. Quest'opera nasce infatti durante una cospicua pausa tra le riprese del più ambizioso - ma meno personale - Ashes of Time, una pausa che il regista voleva occupare realizzando un piccolo film senza troppe pretese, un film polifonico basato su tre movimentate storie d'amore ambientate in quella giungla che è Hong Kong: non poteva sapere che questo piccolo film sarebbe diventato un capolavoro, tra i suoi migliori film di sempre.
Ben presto però le storie da raccontare da tre divennero due: l'ultima non fu realizzata perché il film sarebbe diventato troppo lungo, ma Wong la riprenderà come nucleo pulsante del suo successivo Angeli perduti (1995).
Le due storie sono ugualmente memorabili: la prima ha come protagonista un giovane poliziotto (interpretato da Takeshi Kaneshiro, il muto di Angeli perduti) - numero di matricola 223 - che, a un mese esatto dalla rottura con la fidanzata, decide di innamorarsi di una misteriosa donna con parrucca bionda e occhiali da sole (Brigitte Lin), una criminale alle prese con uno spaccio di droga in India andato male; la seconda ha come protagonista un altro poliziotto (Tony Leung, attore feticcio di Wong) - numero di matricola 663 - che, alla fine della sua relazione con un'hostess, diventa l'oggetto del desiderio di un'affascinante cameriera di nome Faye (la cantante pop Faye Wong) che ascolta ossessivamente la canzone California Dreamin' dei Mamas and Papas ed entra di nascosto nell'appartamento di 663 per riordinarlo e sentirsi più vicina al suo amore platonico.
Due storie diverse, che condividono la calda e soffocante ambientazione cittadina dell'Asia meridionale, la solitudine della società di massa, il travolgente potere del caso sulla vita di ognuno di noi, la difficoltà di accettare la fine di qualcosa che era da principio destinato a finire.
Due storie che - nonostante la definizione "sentimentale" si possa applicare a ciascuna delle due - sono modellate su generi e riferimenti diversi: la prima ha un certo retrogusto noir-poliziesco, un po' Hitchcock un po' De Palma, mentre la seconda si concentra maggiormente sulle piccole follie della nostra Faye, ricordando più il surrealismo romantico del successivo Il fantastico mondo di Amélie (2001, decisamente ispirato a questo secondo episodio di Hong Kong Express) che non il poliziesco della prima sezione.
Wong realizza un caleidoscopio costantemente in movimento, un dedalo di strade percorse da gente totalmente priva di personalità, dalla cui mediocrità emergono pochi personaggi, complessi, tormentati, innamorati.
In particolare, è l'uso del colore a definire questo film: la fotografia del fido Christopher Doyle (qui alla sua seconda collaborazione con Wong kar-wai, dopo Days of being Wild tre anni prima) è protagonista assoluta del film e, coi suoi toni accesi e spesso violenti, oltre a rendere esteticamente spiazzante l'opera, costruisce un'atmosfera postmoderna e aiuta a esprimere bene i pensiere e le sensazioni dei protagonisti.
In Hong Kong Express non c'è un colore dominante che faccia da motivo conduttore per tutta l'opera (a differenza di In the Mood for Love, dove a dominare è sicuramente il rosso della passione); troviamo invece numerosi colori - leggermente meno saturi rispetto a quelli di In the Mood for Love - che ben sottolineano quel complesso groviglio di sentimenti e pensieri che è la città di Hong Kong. Troviamo il rosso, nella scena in cui 223 e la donna con la parrucca bionda si incontrano per la prima (e ultima?) volta, un rosso piuttosto saturo ma allo stesso tempo tiepido, che vira a tratti sull'arancione, per esprimere un amore che tarda a nascere - forse una passione tenuta a freno dalla stanchezza; troviamo poi un giallo che vira sul verdognolo leggermente desaturato nelle scene del secondo episodio che avvengono in esterni di giorno, per le affollate e irrespirabili strade di Hong Kong; il colore a farla più da padrone è però il blu, il colore della solitudine e della nostalgia: pensiamo per esempio alla scena in cui 223, alla fine del primo episodio, si mette a correre all'alba da solo mentre la misteriosa donna dorme in albergo, e poi a quella in cui 663 ricorda con tristezza e nostalgia il suo ultimo incontro con l'hostess da lui amata, nella quale osserviamo un blu saturo, volto a inserire una memoria del passato in un universo ormai scomparso che non può più ritornare.
(la scena "in blu": 663 ricorda la relazione ormai finita con l'hostess)
Altra componente imprescindibile è la regia di Wong kar-wai, che per la prima volta si affida quasi esclusivamente alla macchina a mano, utile per catturare il caos e il marasma in cui i nostri personaggi si muovono, a tratti quasi per annullare quella narrazione onnisciente tipica dei film con camera ferma: è come se anche Wong volesse perdersi nel gomitolo di strade di Hong Kong e abbandonarsi al caso, così come i suoi protagonisti che scalpitano per trovare una propria identità e una propria felicità, novelli Edipo in questo mondo confusionario di fine millennio.
A proposito Christopher Doyle confessò: A Hong Kong lo spazio è così ridotto che saremmo perduti a dover usare una macchina da presa statica: bisogna lavorare con la macchina a mano.
Altra caratteristica di Hong Kong Express sono le scene in cui vediamo la folla di persone sfocate mentre il protagonista dell'inquadratura è ben riconoscibile: in molti di questi momenti i protagonisti si muovono in slow motion mentre tutti gli altri passanti sembrano muoversi alla velocità della luce. Questa tecnica registica tipica di Wong - e particolarmente usata in questo film - risulta dall'unione tra lo step printing (ovvero la duplicazione dei frame al secondo, che conferisce quella patina da slow motion) e l'under crankling (girare il filmato a una minore sequenza di fotogrammi al secondo per ottenere l'effetto sfocato dei movimenti).
---- Visto che questa tecnica è importantissima per capire il cinema di Wong kar-wai ma risulta piuttosto astrusa da spiegare a parole, lascio un link utile in cui viene ben spiegata la realizzazione di queste particolari scene: How did they do this in Chungking Express? - YouTube ---
(ecco lo step printing: 223 all'inseguimento!)
Se a livello registico quindi Wong kar-wai gioca molto sul concetto di tempo e di velocità, lo fa anche nella sostanza delle storie che racconta.
Il tempo e la percezione dello scorrere del tempo - quasi di derivazione senecana - sono come un'ossessione che si cela piuttosto manifestamente dietro a tutti gli orologi presenti nel film, specialmente nel primo episodio. Qui 223, lasciato dalla fidanzata il primo d'aprile, decide di comprare ogni giorno una scatoletta di ananas con data di scadenza al primo di maggio: quando avrà raggiunto la quota di 30 scatolette sarà certo che la loro relazione è finita per sempre. Ebbene, questo mese d'aprile passa, scandito inesorabilmente dall'orologio presente in stazione, e il loro amore arriva a scadenza: il tempo corre velocemente come 223 nell'inseguimento a inizio film, e il ricordo del tempo passato insieme diventa solo dolore.
A questo punto arriva la domanda che si pone il triste poliziotto: esiste qualcosa che non abbia la data di scadenza? La risposta è sì: è l'amore vero. O meglio - non voglio essere troppo sdolcinato: è il ricordo del tempo passato con chi si ama veramente, non importa quanto esteso questo tempo sia, perché anche solo un secondo passato intensamente si cemetifica nella mente più di un intero mese passato a mangiare ananas.
Il ricordo di quando si è stati bene - per quanto doloroso possa essere - durerà per sempre: ed è così che il ricordo che 223 ha del tempo passato con la donna dalla parrucca bionda non ha data di scadenza, così come in Days of being Wild per Su non ha data di scadenza quel fatidico minuto passato con Yuddy, e proprio così come i due amanti di In the mood for love, parlando da un presente indefinito, dimostrano di non aver mai dimenticato il tempo passato insieme, tanto infinitesimale quanto intenso.
La stessa cosa viene sottolineata nel secondo episodio, specialmente nella scena - con tanto di cover cinese di Dreams dei Cranberries - in cui 663 è davanti al chiosco insieme a Faye, e loro si muovono al rallentatore mentre tutto il mondo si sposta alla velocità della luce: questa scena rappresenta la sedimentazione del singolo momento passato insieme - per quanto labile e sfuggente - nel ricordo di Faye, che porterà sempre con lei quel momento, senza data di scadenza.
Un tempo relativo dunque quello di Hong Kong Express, ed è solo con un fermo immagine - ovvero l'annullamento artificiale dello scorrere del tempo - che le due storie riescono a toccarsi (al minuto 41', quando 223 sfiora Faye, dando inizio al secondo episodio), differentemente da quanto succederà in Angeli perduti, in cui le storie si intersecheranno più visibilmente; in Hong Kong Express Wong kar-wai ogni tanto sente il bisogno di fermare lo scorrere dei secondi per mostrare le sfuggenti vanità del caso, che sta a noi decidere di prendere al volo o lasciare che fuggano nella confusione cittadina.
(la scena al chiosco: il tempo sembra quasi fermarsi per Faye e 663)
La chiave di volta fondamentale di questo film si presenta però solo alle nostre orecchie: è California Dreamin' dei Mamas and Papas, ascoltata a ripetizione da Faye per tutto il secondo episodio. Canzone bellissima, che nasconde però nelle sue melodie e nei suoi cori angelici una sensazione di profonda tristezza e, soprattutto, di insoddisfazione e desiderio di fuga.
Sognare la California significa per Faye sognare un posto lontano dal caos e dal trambusto di Hong Kong, una città che le appare triste e monotona così come il suo lavoro al chiosco, un lavoro noioso e poco gratificante che consiste essenzialmente nel servire clienti su clienti: per Faye Hong Kong è quella giornata invernale con foglie marroni e cielo grigio della canzone tanto idolatrata, mentre la California rappresenta la tentazione estiva di una nuova vita, rappresenta il cambiamento, la destinazione ignota che potrebbe mettere la parola fine sulla sua perpetua noia.
Faye tenta di colmare questo bisogno di novità con la sua infatuazione per 663, che le sembra sempre troppo distante e non interessato a lei, per poi partire per la California una volta avuta la sicurezza che il poliziotto è anch'egli innamorato di lei.
L'America secondo Wong kar-wai è un mito, una favola che viene raccontata ai ragazzi perché vivano insoddisfatti e sperando di raggiungere la felicità via da casa, salvo poi ritornare insoddisfatti magari anche più di prima; gli USA nel secondo Novecento sono stati per molti più o meno quello che fu la Roma papalina per Leopardi: una grande delusione che fa vacillare la felicità sia di chi non l'ha visitata (e crede di essere incompleto) sia di chi invece l'ha visitata (capendo la vacuità del mito americano).
In tutto il film vediamo infatti una Hong Kong vittima del capitalismo americano: chioschi che vendono pizze e hot dog, Coca cola, pupazzi di Topolino e di Garfield confidenti del povero 663, musica americana (California Dreamin, appunto), tutti modelli che fanno perdere alla città asiatica le sue particolarità e la riducono a una invivibile megalopoli, triste proprio perché imbevuta di fallaci modelli d'oltreoceano.
Anche Wong kar-wai sembra guardare ripetutamente al modello occidentale per definire alcuni dei suoi personaggi. Per esempio, il look della donna della prima storia non può non ricordare una di quelle ammalianti protagoniste dei gialli di Hitchcock (credo proprio che per creare questo personaggio Wong abbia guardato a La donna che visse due volte, ma anche al più recente Basic Instinct). Il risultato che salta fuori è da una parte una progressiva occidentalizzazione dello stile del regista asiatico, e dall'altra una sorta di velata parodia del modello americano, nonché un'elegante critica alla colonizzazione economica operata dagli Stati Uniti in tutto il mondo a seguito del secondo dopoguerra (tesi sostenuta anche dal mitico Kitano, che ha definito a più riprese il suo Giappone come vittima illustre dell'imperialismo economico americano).
(molto hitchcockiana a dire il vero)
Hong Kong è una città devastata e ormai priva di autonomia, in quanto contesa tra l'arroganza dell'autorità cinese e il modello capitalista americano (si legga a proposito il seguente articolo di pochi mesi fa, estremamente inquietante: “Hong Kong è una vittima dello scontro tra Cina e Usa” - Il Fatto Quotidiano).
In questa città i nostri personaggi si muovono senza certezze, cercando la propria identità nell'amore, nel partner. Qualche volta ci riescono - spalleggiati anche dal caso -, altre volte falliscono miseramente.
E fa riflettere soprattutto il fatto che Faye, una volta tornata a Hong Kong vestita da hostess, confessi a 663 che il viaggio in California "non è stato niente di speciale", capendo che la felicità non sta nella ricchezza e negli USA, ma nelle persone con le quali si condivide la vita, con le quali passiamo il tempo, con le quali formiamo dei ricordi indelebili nella nostra mente e nel nostro cuore.
Tutto questo è Hong Kong Express, opera totale, bellissima, dolce e ammaliante, primo capolavoro del mitico Wong.
Dopo questa pietra miliare Wong kar-wai realizzerà tra gli altri Angeli perduti - per chi scrive il suo più grande capolavoro -, portando all'estremo l'uso della macchina a mano e del grandangolo, e affidandosi sempre più a luci al neon che escono dal buio della notte (a differenza di Hong Kong Express, per la maggior parte ambientato di giorno), e Happy Together, oltre a In the Mood for Love, probabilmente il suo film più conosciuto e amato.
Film forse più perfetti di questo ora recensito. Ma la spontanea dolcezza e creatività di questo Hong Kong Express non può non colpirvi nel profondo, e rimanere lì dove è giusto che quest'opera stia: nelle nostre menti e nei nostri cuori. Oltre che nella storia del cinema.
(Faye "sdoppiata" sale le scale mobili per entrare nella storia del cinema)
All the leaves are brown
And the sky is grey
I've been for a walk
On a winter's day
I'd be safe and warm
If I was in L.A.
California dreamin'
On such a winter's day
(Per noi italiani: Ti sogno California, e un giorno io verrò!!)
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