Regia di Josef von Sternberg vedi scheda film
Nell'immaginario sternberghiano, filtrato dalle convenzioni hollywoodiane abilmente piegate e insieme obbligatoriamente sostenute, il mito M. Dietrich è materializzazione impalpabile, simbolo di sensualità fuori dal tempo, trasfigurazione del suo corpo sfuggente, evanescenza di una carnalità esplosivamente femminile che può contrastare senza rischi grotteschi con un camuffamento bestiale o maschile, cogliendo direttamente ma anche inconsciamente gli istinti basici e la purezza di Venere, la bestialità e l'eleganza, il primitivo e la patina di civiltà "trasumanata" (e "transumanata") dall'immagine cinematografica.
In Venere bionda (donna divisa dall'amore passionale e materno, dall'arte e dalla mercificazione del corpo) la discontinuità narrativa è controbilanciata da queste qualità e dal tipico caos ambientale avvolto dal mistero decadente di Sternberg (gli oggetti, i costumi, i polli svolazzanti alla rinfusa), caos che riscontra in senso lato anche nella compresenza di culture (tedeschi, americani, afroamericani) inscenati anche nel kitsch di classe del cabaret in Hot Voodoo (finto mondo animale, finte tribù africane, una cantante tedesca un po' dea greca, un po' gorilla, un po' africana - dai riccioli biondi).
Enrico Ghezzi, riguardo Sternberg, ha parlato di visibilità pornografica dell'invisibile, vale a dire la restituzione esplicita all'occhio dell'evanescenza ambigua (emblematico l'inizio col bagno nel lago, sirene-ondine modellate dall'acqua, dalla luce e dalle sovrimpressioni - Helen sposerà un uomo che la spia, ne conquista l'anima e, incompresa, si venderà per amore).
Molto bella la musica dagli echi melodici e strumentali quasi mahleriani, scritta (apprendo su IMDb; non so in quali modalità sia stato diviso il lavoro) da W. Franke Harling, John Leipold, Paul Marquardt e Oscar Potoker (tutti non accreditati).
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta