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Die Hard. Duri a morire

Regia di John McTiernan vedi scheda film

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La recensione su Die Hard. Duri a morire

di Immorale
9 stelle

“Si sente tranquillo signore? Si sta divertendo? Non per farmi gli affari suoi, ma quando un bianco se ne sta su un marciapiede di Harlem con un cartello che dice "io odio i negracci", o ha delle serie motivazioni personali, o ha il cervello incrostato di fuliggine !" (cit.)

 

The city is my playground.

 

 

John McLane, non più circoscritto in ambiente “chiuso” (un palazzo nel primo episodio, un aeroporto nel secondo), scorrazza in lungo e in largo per la città (New York), alla ricerca del cattivone di turno: Simon è il suo nome, e propone prove e indovinelli “esplosivi”. John McTiernan, con questo film, porta a compimento l’evoluzione del personaggio felicemente portato sullo schermo negli anni 80, il bistrattato poliziotto interpretato da uno scatenato Bruce Willis. Che si contrapponeva, all’epoca, all’”Arma Letale” di Donner (Mel Gibson/Martin Riggs), parimenti scorretto ma più legato all’immaginario “muscolare” primi anni 80 seppur con una analoga vena ironica. Una “new wave” action, indubbiamente, perché c’è un prima e un dopo John McLane: la figura oramai stereotipata del poliziotto (statunitense) letale ma sdrucito, sboccato, ubriacone e scanzonato aderisce di diritto, nell’immaginario collettivo, al corpo ed al faccione dell’attore americano. Un corpo filmico prontamente identificabile che, grazie ad una sceneggiatura impetuosa, seppur con qualche sbavatura quasi impercettibile nel trascinante furore motorio della vicenda, consente allo spettatore di divertirsi per oltre due ore di situazioni ad alto tasso adrenalinico. Molto più spazio al lato action, quindi, intervallato solamente dalle fulminanti battute “buddy movie” tra Willis e Samuel L. Jackson e dalla risoluzione dei letali indovinelli proposti dall’antagonista Simon/Jeremy Irons (tra i quali quello delle taniche che, ad ogni visione, mi costringe a qualche minuto di riflessione per risolverlo: “Sulla fontana dovrebbero esserci due tanichette. Le vedete? Una da cinque galloni e una da tre. Riempitene una con 4 galloni esatti d'acqua, pesatela sulla bilancia e il timer si fermerà. Mi raccomando la precisione, pochi grammi in più o in meno e l'ordigno esploderà”).

 

Il regista è bravo nell’assecondare magistralmente l’apprezzabile voglia “gigionesca” di tutti gli interpreti, dai principali (con Willis e Jackson su tutti, senza dimenticare la divertita caratterizzazione di un Irons ironicamente perfido) ai secondari (l’artificiere “maniaco”), fino ai validi caratteristi di contorno, girando almeno un paio di sequenze memorabili: la sparatoria nell’ascensore e la folle corsa in auto nell’infernale traffico cittadino newyorchese. Tutti insieme contribuiscono alla felice riuscita di uno stereotipo cinematografico, felicemente convenzionale nella sua spensieratezza da quasi capostipite di un genere, all’epoca (e, forse, anche tutt’ora), in affanno; anche (soprattutto) il cinema fracassone ha bisogno di (sboccati e impresentabili ma comunque) eroi.

 

“Senti, cerca di non fare il furbo. Ho un mal di testa formato famiglia! E questo grazie a te! Hai rotto il cazzo coi tuoi indovinelli! Qual è la scuola? Dov'è la bomba?”

 

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