Regia di Claude Chabrol vedi scheda film
L'ultimo grande film autenticamente "Marxista" della storia del cinema, questa fu l'intenzione di Claude Chabrol, quando decise di girare "Il Buio nella Mente" (1995), in effetti verrebbe difficile trovare una chiave di lettura alternativa al conflitto di classe, di Sophie (Sandrine Bonnaire) e la sua amica Jeanne (Isabelle Huppert), nei confronti della ricchissima famiglia dei Lelievrè. In realtà più che la politica della lotta di classe in sè, comunque presente nelle intenzioni del regista, risulta fondamentale la componente psicologica dei due personaggi femminili principali, dettata da una profonda "invidia sociale", che presenta connotazioni irrazionali e ben poco programmatiche, come voleva Marx.
Chabrol come Hitchcock, costruisce la narrazione e la caratterizzazione psicologica dei personaggi su piccoli dettagli, brevi immagini catturate dalla macchina da presa, frasi pronunciate dai personaggi in normali conversazioni e montaggio alternato tra medesime situazioni, per differenziare il vissuto tra borghesia e proletariato, essendo le due classi ontologicamente antagoniste.
In questo c'è una grande divergenza di pensiero, tra il regista francese e quello inglese.
Hitchcock avrebbe costruito la tensione focalizzandosi un fatto esterno, tramite il quale sfoggiare la sua indubbia tecnica registica, senza mirare ad incidere sullo status quo delle cose, limitandosi a confezionare impeccabilmente un thriller per il pubblico generico senza distinzioni di sorta, mentre Chabrol è intrinsecamente "popolare", perchè "Il Buio nella Mente" mira a non far sentire più come massa indistinta i singoli individui che essa compongono, a favore di in un autentico scontro popolo-elite.
Chabrol costruisce una suspense prettamente umana, dove il meccanismo dell'intreccio è subordinato alla scavo psicologico dei personaggi, costruiti in modo certosino attraverso i loro micro-gesti quotidiani. Il risultato finale restituisce un mirabile ritratto socio-politico; componente del tutto assente nel cinema altrettanto "popolare", ma indistintamente borghese, di Sir. Aldred Hitchcock.
Il regista francese, costruisce dei personaggi femminili sfaccettati e profondi, su tutti la protagonista Sophie, dall'indole taciturna, dalle risposte molto brevi e concise.
La donna preferisce occuparsi delle faccende di casa, piuttosto che interloquire con uno solo dei propri datori di lavoro, tanto che questi ultimi non fanno poi molto per farla sentire parte di un rapporto, che vada oltre il padrone-serva; Sophie mangia in cucina e vede programmi spazzatura in televisione nella sua stanza personale, situata al piano superiore, mentre i Lelievrè tutti assieme come in un rito comune alla propria classe d’appartenenza, vedono film oppure si dilettano in visioni del "Don Giovanni" di Mozart, segnando il proprio recinto d’appartenenza tramite la musica classica, oramai ad appannaggio dell’elite dominante.
La ricca famiglia dei Lelievrè, la cui grande dimora si situa nella campagna bretone, è totalmente chiusa nel proprio mondo ovattato: Georges (Jean Pierre Cassell) ricco imprenditore industriale, dal comportamento arrogante quanto classista, appella di nascosto Sophie con tutti gli epiteti più disdicevoli in merito alla sua professione - serva, schiava, donna delle pulizie etc... -, sua moglie Catherine (Jaqueline Bisset), gallerista d'arte, grossomodo è contenta della ragazza, più che altro perchè così in casa non deve fare più nulla, mentre se il figlio maschio Gilles è un narcisista che guarda tutti dall'alto verso il basso, l'altra figlia Melinda (Virginie Ledoyen), mostra sentimenti più compassionevoli ed umani nei confronti della domestica, ma essendo lei borghese e Sophie
proletaria, la rottura di questo precario equilibrio partirà lungo il loro asse.
Una sottolineatura programmaticamente ideologica più che narrativa, in cui Chabrol una volta di più tiene a ribadire il suo discorso sull'impossibilità di una qualsiasi comunicazione tra appartenenti a mondi diversi, essendo di principio il proletariato l'unica vera classe rivoluzionaria, mentre il borghesia innanzi ad ogni possibile sconvolgimento, farà quadrato di essa, per riportare tutto allo status quo.
Se si tiene conto della sovra-struttura ideologico-politica posta alla base dell'opera, non sarà difficile accettare di conseguenza il rapporto Sophie-Jeanne, quest'ultima si presenta come una donna su di giri, ma infondo simpatica, dal carattere aperto, scontroso, irriverente e diretto nel modo di porsi con il prossimo. Una personalità all'opposto della protagonista. Proprio e soprattutto per questo, entrambe non potranno che essere attratte tra loro, in quanto accumunate sia da un medesimo passato oscuro sia da una malcelato odio sociale nei confronti dei Lelievrè, verso i quali Sophie, su istigazione della sua amica, nutrirà sempre più insofferenza, in un progressivo scontro dalle connotazioni psicologiche sempre più torbide, dovuto a profonde frustrazioni socio-culturali. Sophie è analfabeta, provando in questo un enorme senso di vergogna, mentre Jeanne ostenta il suo disprezzo verso coloro che la detestano, il che porterà ad una resa dei conti alla Michael Haneke. Giocosa, ma improvvisa e secca, nel suo accadimento, per questo ineluttabile sin dal titolo originale "La Ceremonie", che sottolinea nel suo significato, in modo minimale i riti e le gestualità dei singoli personaggi, verso un finale già scritto sin dal principio.
Coppa Volpi condivisa per Huppert e Bonnaire, strepitosi nei loro reciproci ritratti, la cui sfida è vinta dalla seconda, ottimi tutti gli altri componenti del cast, tra cui Jaqueline Bisset, alla sua migliore interpretazione della carriera.
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