Regia di Jon Turteltaub vedi scheda film
Non sopporto i cori russi / La musica finto rock la latino-americana il free jazz punk inglese / Neanche la nera africana / E nemmeno la thai.
Dopo più di un mese un film ha scalzato dal primo posto nella classifica dei più visti su Netflix Italia (e qui occorre un atto di faiduscia) il magnifico “the Queen’s Gambit”, e dopo vent’anni dall’aver letto (durante il periodo da spina a naja sfruttando una parte del tempo morto passato ai turni notturni in guardiola) il buon (ch’io mi ricordi: ma che mi ricordo?!) romanzo semi-omonimo (“Meg: a Novel of Deep Terror” del 1997) di Steve Alten (“Goliath”) da cui è stato liberamente tratto, andiamo a scoprire com’è, 'sto film! E perché mai non si dovrebbe?
Eh già.
“Attaccarono delle ali allo squalo. Non sto scherzando! Non avrebbero ascoltato alcunché di quello che avevo da dire. Il mio ruolo deve essere quello di preservare il livello scientifico e non di assecondare il ridicolo per il bene di Hollywood. Uno sceneggiatore ha fatto ruggire lo squalo.” - Steve Alten (Los Angeles Time, 13 aprile 2008 - traduzione mia).
Là dove il “they” di "They stuck wings on the shark" sta per la TouchStone Pictures (una divisione della Walt Disney Company), la prima major che opzionò i diritti cinematografici del romanzo, cui sarebbero seguite la Hollywood Pictures (sempre Disney) e la New Line Cinema, questo prima che il progetto approdasse definitivamente alla Warner Bros., mentre i registi interpellati nel corso dei passaggi di mano e “teste” furono Guillermo del Toro, Jan de Bont, Eli Roth ed infine, eccoci qua con John Turteltaub (“Cool Runnings”, poi quel film con John Travolta, quel film con Anthony Hopkins, quel film con Bruce Willis, quei tre film con Nicholas Cage, e “Last Vegas”, ovvero quel film con… Morgan Freeman, Robert De Niro, Michael Douglas e Kevin Kline), e quindi abbassiamo sin da subito le aspettative.
Ed infatti.
Il film - mentre la Cina si espande (in campo SF mainstream, per il cinema “the Wandering Earth” di Frant Gwo su soggetto di Liu Cixin e per la letteratura la trilogia de “il Problema dei Tre Corpi” proprio di Liu Cixin, che a sua volta diverrà una serie Netflix) verso il Pacifico oltre la Corea, il Giappone, Taiwan e le Filippine, fuori dal Mar Giallo e dai mari Cinese Orientale e Meridionale (verso est, cioè… verso la west coast U.S.A.) ed HollyWood le viene reciprocamente e pacificamente incontro - si lascia vedere e corre spedito (la sceneggiatura è di Dean Georgaris e di Jon ed Erich Hoeber con la collaborazione del James Vanderbilt di “Zodiac” poi persosi per strada), peggiorando via via e partendo da un livello di sufficienza, ma per abbrivio giunge alla meta, anche se un bel po’ sfiancato/sfiancante, condito da qualche gradevole momento riuscito e da una quota parte fissa d’imperdonabili puttanate in fase di relazionamento comportamentale degli attori sul set con ciò che poi accade loro intorno in post produzione con gli effetti speciali accessori [ad esempio quando, sullo sfondo, il megalodonte (Otodus/Carcharocles megalodon), da buon iper-fossile super-vivente, si pappa la megattera, e in primo piano l’attrice co-protagonista ha una reazione del tipo “Pfft, l’ho già vista ‘sta roba...”].
- - - Inizio Spoiler - - -
C’è una scena (volutamente o inconsapevolmente) ambigua sul finale, in cui dalla fauci spalancate del megalodonte nuota fuori uno squalo, e la domanda è se si possa trattare di uno dei Carcharodon carcharias per l’occasione - date le (s)proporzioni - trasformatisi in “spazzini del mare” venuti a fare banchetto che, entratole dal ventre, si è fatto strada scavando e dilaniando le carni e adesso compie il percorso inverso a quello che il cibo percorreva quando il sesquipedalico squalo era vivo, oppure di un cucciolo già completamente formato ch’era sul punto di essere partorito dalla defunta madre ovovipara/vivipara e che si è salvato dalla carneficina? Di certo questo può essere considerato l’unico riferimento ad un possibile sequel diretto al film [la saga romanzesca consta di 8 volumi in totale, e il film - costato circa 175 milioni di dollari - ha incassato un botto (lordo) al botteghino, ovvero 530 mln/$, e quindi un ritorno/vendetta con un budget lievemente ridotto ci starebbe tutto eccome], dato che prima, durante e dopo i titoli di coda [sì, 8 minuti col fast-forward, anche per via della versione thai by Pim della già non entusiasmante, ma carina, “Hey Mickey” di Antonia Christina Basilotta in arte Toni Basil, che avrebbe potuto funzionare, ad esempio, come contro-climax in avvicinamento alla baia (o come effettivamente già avviene per introdurre il buen retiro del protagonista e presentare il suo reclutamento, dopo 20 minuti dall'inizio), ma che qui invece trascina abbastanza a fondo il tutto, che già galleggiava inerte] non v’è traccia alcuna di ammiccanti cliffhanger né di finali “nascosti” post-credits. C’è d’aggiungere infine che la vera nota possibilista ad un seguito è presente (anche qui, volutamente o inconsapevolmente) nel prologo, vale a dire: se per attraversare il relativamente sottile termo-chemoclino costituito dallo strato/nuvola di solfuro d’idrogeno (acido solfidrico) prodotto dai gas di scarico dei solfobatteri presenti nei camini delle sorgenti idrotermali abissali il “nostro” megalodonte ha sfruttato un temporaneo corridoio venutosi a creare per combinato disposto di azioni umane e naturali, quello che ha attaccato il sottomarino può aver usufruito di una simile concatenazione d’eventi: la Fossa delle Marianne, James Cameron e soci a parte, non è ancora l’Everest in quanto a inquinamento da turisti della domenica, ma per la Legge dei Grandi Numeri, ovvero (cit., Treccani) il “principio secondo il quale sotto condizioni molto generali l’azione simultanea di un grande numero di fattori casuali conduce a un effetto sostanzialmente deterministico (non casuale)”, là dove i fattori “casuali” sono la massa di teste di minchia di cui sopra, l’evento-breccia (e qui entra in gioco l'assioma riassuntivo della Legge di Murphy) accadrà sicurcertamente di nuovo. E infatti la Warner - notizia di qualche settimana fa - ha affidato la regìa di - chiamiaolo per ora - “the Meg 2” a… pausa... Ben Wheatley, che recentemente ha sfornato per Netflix non un sequel ma una “ennesima” trasposizione [più che un semi/quasi/non-remake o vansantiana copia-conforme aumentata del capostipite di Hitchcock (ch’è stato il suo primo film del periodo americano) & Selznick del ‘40], quella del “Rebecca” di Daphne du Maurier (autrice della quale ancora Hitchcock - con Eric Pommer - aveva trasposto nel ‘39 un romanzo del ‘36, “Jamaica Inn”, che sarà il suo ultimo film del periodo inglese) del ‘38.
- - - Fine Spoiler - - -
Fotografia del grande Tom Stern in pausa dalla scuola eastwoodiana (cresciuto prima lavorando accanto ad Haskell Wexler e Conrad L. Hall e poi sui set di Clint Eastwood lavorando al fianco di Jack N. Green al quale subentrò ad inizio millennio). Montaggio di pura routine di Steven Kemper e Kelly Matsumoto. Musiche consone al prodotto di Harry Gregson-Williams.
Sex, food, power, money e almeno 8 significati per insertion e i suoi derivati (inserzione → inserimento → penetrazione).
E, sempre per la sezione (che ho inventato in questo momento e che in quest’altro disinvento) “Saper di Sapidi Fatti Tiepidi”: gli anglofoni pronunciano il cognome italiano D’Angelo come “Di-Angelo”. Perché non “D’Engilo”? Non dovete rispondere: come ho detto, la rubrica non esiste più.
Jason (“Sai, ha la faccia da eroe e cammina svelto, ma ha un atteggiamento negativo!”) Statham (“Ghosts of Mars”, “the Italian Job”, “the Expendables”) dona metri quadri di pelle e muscoli “come” Kristen Stewart in “UnderWater”. Se non sono diventato e/o mi sono scoperto/sentito omosessuale dopo ciò, allora mai più, eh.
Completano il buon cast: Li BingBing (classe 1973: !?!?!; "Diciassette anni", "Detective Dee e il Mistero della Fiamma Fantasma"), Cliff Curtis, Robert Taylor, Rainn Wilson, Winston Chao, Jessica McNamee, Ruby Rose ("OItNB"), Page Kennedy, Ólafur Darri Ólafsson, Masi Oka, ShuYa "Sophia" Cai...
Innocuo pappone da pastura per tonni, predigerito e servito con delle secchiate a spaglio, pronto per essere rimasticato da spettatori boccaloni e cerebralmente sdentati.
Primi ¾ da *** con parti da **¼-½-¾ e ultimo ¼ da **, ovvero: **½ (5) in media/totale. Una insufficienza consigliata. E poi mi sta simpatico perché i pescatori di frodo spinnatori di squali crepano male, anche se fuori campo.
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Intanto, off-Hollywood, per quelle rotte…
- https://www.limesonline.com/usa-cina-guerra-rapporto-pentagono-sviluppo-militare/120120
- https://www.notiziegeopolitiche.net/usa-le-tensioni-con-la-cina-nel-mar-cinese-meridionale-tra-espansione-marittima-e-pesca-illegale/
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