Regia di Mauro Bolognini vedi scheda film
Il soggetto di Ugo Liberatore rimanda fin dal titolo, e poi nello sviluppo, a tematiche moraviane. La corruzione in questo film è una condizione pregnante, che pervade tutta l’atmosfera ed infetta, in misura diversa, tutti i personaggi, il cui grado di colpevolezza è misurato esclusivamente dal livello di consapevolezza. Il più innocente è, con ogni probabilità, il giovane magazziniere, accusato di un ammanco, passando ad Adriana, che sembra assolutamente ignara di fungere da strumento del meccanismo che tende ad incastrare nei suoi ingranaggi il giovane Stefano. Proprio quest’ultimo si pone a metà della scala della corruzione, a causa della sua consapevolezza nel cedere e nel non saper reagire adeguatamente al modello abietto che gli propone il padre. Il quale è il corruttore per eccellenza, il Mefistofele, che, liberatosi della moglie (costretta in un letto d’ospedale da una depressione ormai cronica), tenta tutti i metodi, dalla lusinga alla minaccia, dal denaro al sesso, per comprare chi gli fa comodo, suo figlio incluso. Il peggiore di tutti è Morandi, l’intellettuale “progressista”, al soldo dello sfruttatore senza scrupoli, ma al tempo stesso troppo intelligente per non rendersi conto di essersi venduto per gli emblematici trenta denari. “La corruzione” è, secondo me, uno dei film migliori di Bolognini, per la sua asciuttezza, per la sua schiettezza nell’andare diritto al punto senza ghirigori intellettualistici, per la sua messinscena essenziale che non cede al vezzo (e stranamente molti dei critici che solitamente rimproveravano al regista l’eccessiva cura degli ambienti e dei costumi non hanno gradito questo lavoro senza fronzoli), per la sua capacità di anticipare il cinema pre-contestatario dei Bertolucci e dei Bellocchio, con un protagonista che non prende neppure in considerazione un gesto di ribellione eclatante, ma che vede come possibile reazione al modello corrotto incarnato dal padre unicamente la fuga dal mondo di una clausura in convento. Bolognini ed i suoi sceneggiatori Liberatore e Gicca Palli (che raramente troveranno in futuro un’ispirazione anche lontanamente paragonabile a quella di questo film) costruiscono tre o quattro personaggi sbozzolati piuttosto bene ed affidati ad interpreti di grande valore, a cominciare dal granitico francese Alain Cuny, per arrivare al meno caratterizzato – ma qui efficace – Jacques Perrin, fino all’assoluta rivelazione di una reinventata Rosanna Schiaffino. E peraltro “La corruzione” comincia con una sequenza a mio parere magistrale, dove il preside del collegio in cui ha studiato Stefano pronuncia, davanti agli studenti che lasciano l’istituto, un discorso di commiato di altissimo valore morale e culturale. Un discorso che, purtroppo, come dimostra tutto il film, è destinato a rimanere lettera morta ed a sbattere le sue fragili ali soltanto all’interno delle mura di collegi ed istituzioni scolastiche. Nella vita reale, comandano ancora gli squali.
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