Regia di Tommy Wirkola vedi scheda film
A Lunedì nun je annava de principià pe' prima 'a settimana.
2073. In un futuro non tanto lontano e meno distopico di quanto possa sembrare, il mondo è soffocato dall’escalation demografica e dalle carestie che riducono sempre più l’accesso al cibo della popolazione. La società guidata da una matrona cattiva (Glenn Close) impone così la legge del figlio unico: legge spietata armata da un braccio secolare altrettanto brutale che ricerca e “termina” ogni fratello/sorella illegittimo.
In questo inferno Karen Settman, apparentemente una donna figlia unica, in realtà è impersonata ogni giorno da una sorella diversa, sette gemelle che si chiamano come i giorni della settimana, nascoste al mondo da uno stratagemma imposto per salvar loro la vita dal nonno (Willem Dafoe). Un giorno Lunedì scompare.
“Cosa è successo a Lunedì?” recita il puntuale titolo originale di una storia dall’idea di partenza fulminante. La legge del figlio unico non è una novità di questo mondo e quindi neppure del futuro. L'estensione ontologica del film ne moltiplica le implicazioni alla settima in un esercizio tanto affascinante nelle intenzioni quanto bistrattato nello svolgimento.
La sceneggiatura, opera di Max Botkin e Kerry Williamson, risale al 2001 ma solo ora, con il perfezionamento delle tecniche digitali, si è riusciti a moltiplicare un’attrice, Noomy Rapace, per sette e fare interagire le copie contemporaneamente sullo schermo. Le sorelle hanno proprie personalità, abilità e debolezze che le caratterizzano, ma questa libertà viene espressa solo all’interno della casa bunker nella quale vivono. Il loro alter ego, Karen, che vive la vita al di fuori della casa, è la somma di tutte e contemporaneamente la loro sottrazione. Per sopravvivere ogni sorella ha diritto a un settimo di vita vera, sempre mutuata attraverso il personaggio che a turno interpretano. In questo quadro disperato e distopico fa irruzione l’amore, agente non programmabile e non ascrivibile a un personaggio inventato, ma proprio di una personalità che forza di cose non può palesarsi, pena la morte di tutte le altre sorelle. Ha tantissimi significati sociali e psicologici la vicenda diretta da Tommy Wirkola, finlandese ingaggiato da Hollywood dopo i due film della saga horror cult Dead Snow, spunti che purtroppo però rimangono tali.
Se almeno metà film persegue l’inquietante linea narrativa distopica della fantascienza filosofica, quando è ora di tirare le fila e evolvere i concetti espressi, la storia crolla e si banalizza in un action metropolitano, con combattimenti e inseguimenti, con conseguente semplificazione dell’impianto politico totalitarista che governa il mondo in una fumettistica struttura piramidale il cui vertice è impersonato da una stereotipata Glenn Close.
Sputtanamento globale e svelamento dei loschi traffici dei gerarchi completano il disastro narrativo del film in un finale posticcio e pasticciato. Seven sisters suggerirebbe anche una stratificazione di significato sul cinema e sulla percezione dell’essere e dell’apparire in un ribaltamento di senso dove la vita sociale, percepita come vera è la finzione e viceversa, l’attore, resta confinato dietro le quinte a marcire. Purtroppo questi temi rimangono non approfonditi, veicolati come mezzo per fare qualcosa di molto più semplice scoprendo tutti i limiti sia della sceneggiatura che della regia per un film che avrebbe richiesto ben altra sensibilità e attenzione ai personaggi. Peccato, perché l’estensione ontologica della distopia sociale di stampo orwelliano aveva funzionato e visti i mezzi a disposizione, l’idea iniziale e gli attori coinvolti si può proprio parlare di una grande occasione sprecata.
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